Rubicone
Longiano, il vescovo don Pino alla festa del miracolo: “La tradizione serve se cambia il cuore”
"Il miracolo della vitella rimanda al miracolo più grande, che è quello eucaristico", ha sottolineato monsignor Caiazzo ieri sera nel Santuario del Santissimo Crocifisso
Festa nell’anniversario del miracolo della vitella che si inginocchiò davanti al Crocifisso il 6 maggio 1493, ieri sera al santuario di Longiano. La Messa, dedicata al “Giubileo delle arciconfraternite”, è stata presieduta dal vescovo Antonio Giuseppe Caiazzo. Fra i tanti presenti, anche il sindaco Mauro Graziano con la fascia tricolore e il comandante della stazione Carabinieri di Longiano, Domenico Turzillo.
Due inginocchiamenti
Dalla prima lettura del giorno (il martirio di Stefano), il presule ha proposto un parallelismo fra la vitella che si è inginocchiata davanti al Crocifisso e santo Stefano che piegò le ginocchia “mettendo davanti a Dio quella vita che Dio stesso gli aveva donato e che gli uomini gli stavano togliendo”. Da qui la sottolineatura che “l’esperienza di Stefano diventa l’esperienza di ognuno di noi, perché Dio ci dona di contemplare l’eternità“, anche se l’uomo è concentrato sull’oggi.

“Un bisogno più grande”
Dal Vangelo di Giovanni, in cui Gesù dice alla folla che lo cerca dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci “Io sono il pane di vita”, monsignor Caiazzo ha ricordato che “posso avere tutto dalla vita ma non essere felice perché non mi basta quello che ho”. Di fronte all’atteggiamento della folla, “Gesù ci dice che c’è un bisogno più grande, che è il bisogno di Dio”.

“Fare la comunione per cambiare la mia esistenza”
“Noi veniamo a Messa e facciamo la comunione – ha proseguito il presule -. Siamo talmente abituati a ricevere la comunione che non ci accorgiamo che stiamo ricevendo Gesù Cristo, che non ci rendiamo conto che la nostra carne, da quella particola che è il Corpo di Cristo, viene trasformata” con il rischio “di tornare a casa tali e quali come siamo arrivati, o forse peggio”. Il presule ha poi sottolineato che “fare la comunione significa che ho ricevuto Gesù Cristo ed entro in comunione con lui, con i fratelli e anche con la Chiesa celeste, con i nostri santi, con coloro che non sono più in mezzo a noi. Vivere la comunione significa vivere il tempo presente con la consapevolezza che ogni celebrazione eucaristica a cui partecipo contribuisce a cambiare la mia esistenza“.

“Il “si è sempre fatto così” non serve”
Monsignor Caiazzo hai poi sollecitato i presenti: “Posso essere vescovo, sacerdote, diacono, posso far parte dell’Arciconfraternita, posso essere sindaco o comandante dei Carabinieri, ma non mi serve a niente se non entro in questa comunione, se non vivo questo desiderio di Dio e se non lascio che lui trasformi la mia carne”. Questo, ha aggiunto “significa trasformare il mio modo di pensare, di ragionare e di guardare le cose in maniera diversa”. Un riferimento quindi al “si è sempre fatto così e bisogna continuare a fare sempre così. Non è vero. Dov’è scritto?”, si è chiesto il vescovo. “La tradizione se non cambia il cuore non serve, ma se la tradizione cambia il cuore, allora anche ricordare il miracolo (della vitella, ndr) a distanza di 532 anni ha senso perché rimanda al miracolo più grande” che è quello eucaristico. Così, durante la Messa, ha concluso la sua riflessione il presule, ci inginocchieremo davanti alla “presenza reale di Cristo nelle specie del pane e del vino che, attraverso l’imposizione delle mani, invocando lo Spirito Santo, diventeranno corpo e sangue di Gesù“.
