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Associazione Benigno Zaccagnini

A Diogneto: un testo dei primi cristiani per ricordare Giobbe Gentili

Un piccolo testo del II-III secolo, pieno di misteri, ma ancora attuale per i cristiani di oggi. Si tratta di “A Diogneto”, documento del quale Giobbe Gentili ha curato qualche anno fa una traduzione commentata dal greco. Il volume è stato ripresentato ieri pomeriggio in Malatestiana in onore del suo curatore.

A Diogneto: un testo dei primi cristiani per ricordare Giobbe Gentili

Un piccolo testo del II-III secolo, pieno di misteri (incerta la datazione, ignoto l'autore, ignoto il contesto), ma ancora attuale per i cristiani di oggi. Si tratta di “A Diogneto”, documento del quale Giobbe Gentili ha curato qualche anno fa una traduzione commentata dal greco.

Con questo volume, presentato ieri pomeriggio in Malatestiana dal teologo don Carlo Molari e dal ricercatore in studi religiosi Leonardo Lugaresi, l’associazione Benigno Zaccagnini ha voluto ricordare il proprio amico e socio venuto a mancare nel gennaio scorso.

Giobbe Gentili ha lasciato il segno in città come docente di latino e greco al liceo classico, formatore di generazioni di studenti, come uomo politico (assessore e vicesindaco negli anni ’60, poi a lungo consigliere comunale e regionale di opposizione) e per la sua attività nel volontariato e nell’associazionismo. Non molti sanno, però, che aveva un grande interesse, e una solida preparazione, per il cristianesimo dei primi secoli e la letteratura cristiana degli albori, tanto da aver curato in passato l’introduzione monografica, la traduzione e le note di due opere di Origene: “Disputa con Eraclide” e “Omelie sulla Genesi e sull’Esodo”.

“Giobbe ha respirato l’aria del “Movimento di ritorno ai padri” nella cultura cristiana del ‘900 grazie a don Lino Mancini” ha spiegato Lugaresi, aggiungendo poi che l’A Diogneto non sia da considerare una lettera, epistola, in senso stretto, quanto un discorso di esortazione, un invito, sulla scorta del Hortensius di Cicerone.

Il professor Lugaresi ha poi fatto una stima numerica dei cristiani al tempo del testo: “Attorno all’anno 200 i cristiani, secondo gli studiosi, potrebbero essere stati tra l’uno e il due per cento della popolazione dell’Impero Romano, dunque tra 600mila ed un milione di persone. In genere i gruppi minoritari o si assimilano, o si radicalizzano arroccandosi. Il cristianesimo non ha fatto né uno né l’altro, comportandosi nel mondo come l’anima nel corpo, consapevoli dell’importanza della propria missione”.

Don Carlo Molari ha poi sottolineato l’importanza dell’A Diogneto nel Concilio Vaticano II, che ha ripreso il testo nella Lumen Gentium e nella Gaudium et Spes.

Su di un passaggio, in particolare, si è soffermato il teologo, quello che vede i cristiani: “anima del mondo ed essi né per paese, né per lingua, né per veste si distinguono dagli altri uomini. Essi abitano ciascuno la propria terra; partecipano a tutto come cittadini. Ogni terra straniera è, per loro, patria; ogni patria è, per loro, terra straniera”.

“Si tratta di un testo importante per lo sviluppo della Chiesa nel mondo – ha concluso don Carlo – intesa come famiglia di Dio, passo decisivo per l’attuale dialogo interreligioso. La vita cristiana diffusa nella società può influenzare positivamente anche i non credenti, per mezzo della fraternità, della giustizia, dell’animazione interiore”.

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