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Caso Navalny. Fulvio Scaglione (giornalista): “La Russia, i millennial e la grande paura di una seconda Perestrojka”

Alexei Navlany, 44 anni, blogger seguitissimo dai giovani, principale oppositore politico del presidente Vladimir Putin, sta lottando tra la vita e la morte. Nessuno sa con esattezza cosa stia succedendo in questo momento all’ospedale di Omsk, la città siberiana dove è stato ricoverato per presunto avvelenamento

Foto Ansa/SIR

L’unica cosa certa, al momento, è che Alexei Navalny sta lottando tra la vita e la morte. È in terapia intensiva nell’ospedale di Omsk in Siberia e non può essere trasferito all’estero a causa del suo stato di salute “instabile”. Le notizie però su quanto gli è accaduto sul volo che dalla Siberia lo portava a Mosca, sono incerte e contrastanti: secondo i suoi sostenitori, è stato avvelenato, ma la notizia oggi è stata smentita e l’ospedale afferma che nessun veleno è stato ritrovato nel suo sangue. Alexei Navlany, 44 anni, è un blogger seguitissimo dai giovani, giornalista noto per le sue campagne anti-corruzione, finito più volte in carcere per le sue battaglie politiche. È il principale oppositore politico del presidente Vladimir Putin in Russia, l’uomo che ha saputo mobilitare le piazze e soprattutto i giovani, contro il sistema di Stato. “C’è molta indeterminatezza sugli eventi reali”, ammette subito Fulvio Scaglione, per anni corrispondente da Mosca. “Nessuno sa con esattezza cosa stia succedendo in questo momento all’ospedale di Omsk, la città dove l’aereo che portava Navalny è atterrato”.

Appena ieri si è diffusa la notizia del presunto avvelenamento di Navalny, cosa ha pensato?

Ho pensato a due cose. La prima, a tutti i precedenti che ci sono stati in passato: da Aleksandr Litvinenko, l’ex agente dei servizi segreti russi, che fu avvelenato con il polonio. Alla giornalista Anna Politkovskaja che ebbe anche lei un malore sull’aereo dopo aver bevuto qualcosa; fino al caso Skripal, ex spia russa che fu attaccato con gas nervino. L’altra cosa che ho pensato, è che l’addetta stampa di Alekseij Navalny che viaggiava con lui in aereo, ha immediatamente detto che si trattava di un avvelenamento. Questa determinazione, fin dal primo istante, mi ha colpito.

Ma perché, in caso di avvelenamento, colpire ora Navalny?

Se noi applicassimo con rigore la legge di tutte le investigazioni criminali – la cosiddetta “cui prodest?” (a chi conviene?) – mi pare che l’ultimo che possa essere chiamato in causa è proprio Putin.In questo momento con la riforma costituzionale appena varata, con tutti i problemi del Covid, con la questione Bielorussia aperta e quella Ucraina mai definitivamente chiusa, il presidente russo non ha alcun interesse ad aprire un altro fronte, cercando di eliminare un oppositore come Navalny. Detto questo, in ogni caso, in questa Russia, ci sono troppi episodi di questo genere e quindi in qualche modo Putin se non porta la responsabilità politica di questo ipotetico tentativo di uccidere Navalny, porta comunque la responsabilità del fatto che nel suo Paese, una reale vita democratica ed una reale dinamica tra consenso e dissenso è ancora molto molto difficile.

Il caso Navalny scoperchia una nota caratteristica della vita di questo Paese e cioè la indeterminatezza dai fatti. Che tecnica è?

Purtroppo, in Russia, attorno o meglio all’ombra del potere centrale, sopravvive una galassia di interessi che sono potenti e con pochissimi scrupoli. Prendiamo i casi di Navalny e della giornalista Politkovskaja. Navalny, noi lo conosciamo principalmente come oppositore di Putin ma quando si è presentato alle elezioni, ha raccolto un consenso molto limitato. Certamente non è un uomo che può sfidare Putin. Però è anche un giornalista di inchiesta, un blogger molto seguito, che denuncia molti dei vizi e delle corruzioni degli uomini che ruotano attorno al Cremlino. È lì che può essere maturato l’humus per qualche atto violento. Un po’ come la Politkovskaja: anche lei, era una giornalista che aveva fatto tantissime inchieste sulla Cecenia, sulla corruzione dell’esercito russo in Cecenia, sull’operato in Cecenia degli alleati dei russi e si era fatta una caterva di nemici.Per questo dico che se c’è una responsabilità del Cremlino, è quella di non riuscire, non volere o forse non potere mettere ordine in questo sottobosco di grandi affari, grandi corruzioni e quindi violazioni.

E Putin?

Potrà anche non piacerci, ma Putin gode nel Paese di un consenso che sarà pure in calo, ma è reale e concreto, soprattutto nella grande e sterminata provincia russa. Ed è lì che Putin affonda il suo successo. Come però è reale e concreto anche un sentimento di stanchezza che la società mostra, a partire però dalle città più sviluppate come Mosca e San Pietroburgo, nei confronti di un sistema che è stato propulsivo per un primo decennio ma poi è entrato in una fase di stasi che ora rischia di essere di vera e propria sclerosi.

Che ruolo hanno i social?

Con i social, Navalny è riuscito a contattare i millennian i quali non hanno la più pallida idea di cosa siano state l’Unione Sovietica e le difficoltà vissute subito dopo la sua caduta. Non hanno quindi quel complesso persistente che hanno invece i russi adulti, di difendere a tutti i costi la stabilità raggiunta dopo 20 anni di crisi e miserie che il Paese ha vissuto subito dopo il crollo dell’Urss. Crisi e miserie a cui Putin in un modo o nell’altro ha rimediato.I millennial non hanno memoria di tutto questo. Sono quindi assolutamente liberi e giudicano solo sulla base del loro presente.

Quanta vita ha Putin?

Credo che Putin si sia reso conto che la società russa e quindi anche il suo potere rischiano una grossa crisi. La riforma costituzionale per cui lui si è garantito una proiezione di potere nel futuro, è dovuta al grande timore che nella società russa, ci possa essere una seconda Perestroika.Il Cremlino teme che come avvenne per la prima Perestroika, possa anche oggi prendere avvio un processo di cambiamento che poi non si riesce più a controllare.

Fonte: Sir
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