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Consumo del suolo: in Emilia Romagna ogni giorno scompaiono 12.500 metri quadrati

I cambiamenti climatici hanno portato a precipitazioni sempre più intense con vere e proprie bombe d’acqua che il terreno impermeabilizzato dall’urbanizzazione e dalla cementificazione non riesce ad assorbire

consumo di suolo in Italia

Tra il 2016 e il 2017 in Emilia Romagna sono stati consumati ogni giorno 12.500 metri quadrati di terreno naturale e agricolo, in pratica più di un ettaro al giorno. Lo rende noto Coldiretti regionale alla vigilia della giornata del suolo che si celebra domani, 5 dicembre. In base al rapporto 2018 sul consumo di suolo dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) – afferma Coldiretti Emilia Romagna – tra il 2016 e il 2017 nella nostra regione è stato consumato terreno agricolo naturale per oltre 4 milioni e mezzo di metri quadrati, pari a 650 campi di calcio. In questo modo il terreno diventato artificiale nel 2017 ha raggiunto – informa Coldiretti regionale – i 221.645 ettari, un dato che colloca la nostra regione al terzo posto per consumo di suolo in Italia, subito dopo la Lombardia (310.156 ettari) e il Veneto (226.530). il terreno cementificato – sottolinea Coldiretti regionale – è pari al 9,9 dell’intera superficie regionale, una percentuale superiore alla media nazionale che si attesta al 7,65%.

La cementificazione e l’abbandono del suolo – commenta Coldiretti Emilia Romagna – oltre a sottrarre terreno ad una produzione agricola di qualità, riducono la capacità dell’assorbimento dell’acqua da parte dei terreni e rendono il territorio più fragile aumentando il rischio di frane e alluvioni. Su un territorio sempre più artificiale e più fragile, i cambiamenti climatici degli ultimi anni – sottolinea Coldiretti regionale – hanno portato a precipitazioni sempre più intense con vere e proprie bombe d’acqua che il terreno impermeabilizzato dall’urbanizzazione e dalla cementificazione non riesce ad assorbire.

La conseguenza – afferma Coldiretti regionale – è un aumento del rischio di alluvioni e un incremento della situazione franosa della nostra regione. Secondo elaborazioni Coldiretti su dati del servizio Geologico regionale, in Emilia Romagna ci sono più di 38 mila frane attive, per una superficie di quasi 70 mila ettari, e più di 32 mila frane quiescenti, che coprono 181 mila ettari. In pratica l’11,3 per cento del territorio regionale è soggetta frane, percentuale che aumenta decisamente se si considera che la provincia di Ferrara e tutto il territorio a nord della via Emilia sono esenti da movimenti franosi. Ad essere più colpito è, naturalmente, il territorio collinare e montano, area dove – ricorda Coldiretti – è in forte calo la presenza dell’agricoltura che negli ultimi venti anni ha visto più che dimezzato il numero delle aziende agricole, rimaste oggi poco più di 20 mila nell’Appennino da Piacenza a Rimini. Il venir meno della cura dei terreni e dei fossi – commenta Coldiretti – ha contribuito non poco alla diffusione delle frane che in questo momento interessano 200 delle 333 amministrazioni comunali emiliano romagnole.

Per proteggere la terra e i cittadini che vi vivono – afferma Coldiretti Emilia Romagna – bisogna difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento sociale, culturale ed economico del ruolo dell’attività agricola. Per questo Coldiretti Emilia Romagna ha sostenuto la legge regionale 24 del 21 dicembre 2017 (“Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio”), in vigore dall’1 gennaio 2018, che ha l’obiettivo del consumo di suolo a saldo zero entro il 2050. Nel frattempo – ricorda Coldiretti regionale – i Comuni dovranno adeguare gli strumenti urbanistici entro tre anni e concludere il processo nei due anni successivi e il consumo di suolo dovrà essere contenuto entro il 3% del territorio urbanizzato. Con la nuova normativa – conclude Coldiretti Emilia Romagna – il consumo di suolo nelle aree agricole è consentito solo per opere pubbliche e di pubblica utilità se viene dimostrata l’impossibilità di riutilizzare aree già urbanizzate e assicurando il minor impatto e consumo di suolo possibile.

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