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Quaresima: monsignor Manicardi, digiunare dal virtuale per riscoprire il gusto delle relazioni vere

Il digiuno come pronto soccorso per una "umanità malconcia", vittima di violenza e guerre e spesso preda del primato del virtuale sul reale, che provoca "disturbi" nelle nostre relazioni con gli altri. Monsignor Ermenegildo Manicardi, rettore dell'Almo Collegio Capranica, descrive così una delle tre pratiche quaresimali. E avverte: "Il nostro spazio è occupato anche da un diavolo oppositore"

Quaresima: monsignor Manicardi, digiunare dal virtuale per riscoprire il gusto delle relazioni vere

“Può arrivare a digiunare solo chi non si sopravvaluta”. Parola di monsignor Ermenegildo Manicardi, rettore dell’Almo Collegio Capranica, che per questo tempo di Quaresima propone “un virtuoso digiuno dal virtuale, evitando anche di proporci eccessivamente e di invadere spazi personali di ‘amici’, spazi che potrebbero essere utili ad altri”. Preghiera, elemosina e digiuno sono il triduo inscindibile delle pratiche quaresimali: qual è il posto specifico del digiuno?

Penso che ci debba ispirare la redazione del Vangelo secondo Matteo che, nel cap. VI, mette le tre richieste di Gesù nell’ordine: elemosina, preghiera e digiuno. L’elemosina è l’atteggiamento di partenza. Si inizia con l’apertura del cuore alle situazioni di bisogno concrete degli altri e si giunge a un aiuto, per così dire, della mano, determinato dalla situazione di bisogno degli interlocutori e dalle nostre disponibilità. La preghiera si trova al cuore dell’esercizio spirituale della Quaresima.

Il digiuno è l’aggiunta ultima di un’ulteriore perfezione. Esso libera e va ad arricchire sia l’elemosina sia la preghiera. Il digiuno, infatti, può servire a maggiorare ciò che è possibile dare in dono, togliendo l’elemosina dalle categorie dell’irrimediabilmente striminzito. Il digiuno, inoltre, serve ad aprire tempi temporali maggiori di preghiera e a favorire una preghiera più lucida e certamente più sensibile ai poveri e alle sofferenze che colpiscono la carne di Cristo, presente nell’umanità malconcia.

Il senso del digiuno e dell’astinenza, per il cristiano, ha a che fare non solo con la penitenza, ma anche con la “continenza”, la padronanza di sé stessi, intesi come totalità di corpo e anima. Non c’è il rischio che l’uomo di oggi abbia smarrito questo alfabeto, confondendo il digiuno con una pratica salutistica?

Il digiuno ha sempre a che fare con la gioia. Dobbiamo ricordare che durante il cammino terreno di Gesù, i suoi discepoli non digiunavano. Gesù pensava che non potessero digiunare perché lui, lo Sposo, era presente: “Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno” (Marco 3,19-20). Dopo la morte e risurrezione di Gesù, il digiuno torna in auge proprio perché con esso noi esprimiamo la non compiutezza della nostra presenza in questo mondo e diamo voce all’attesa delle nozze nel mondo definitivo.

Il digiuno poi ricorda un’esperienza di continenza, ossia la necessità di temperare e dominare gli appetiti eccessivi e distruttivi, che talvolta ci affliggono. Con il digiuno gridiamo che vogliamo essere migliori e che c’impegniamo seriamente a questo scopo.

Combattiamo perché il corpo diventi più degno dello Spirito che ci abita. Ci prepariamo così ad essere maggiormente adeguati al progetto di risurrezione che ci sovrasta. Dobbiamo, perciò, vedere il digiuno in connessione alla gioia, anticipata nella libertà da noi stessi che anche oggi possiamo, almeno in parte, realizzare.

Il modello del digiuno, per chi ha fede, è Gesù, e la sua lotta contro le tentazioni del maligno, nei 40 giorni passati nel deserto. La Quaresima è anche un tempo per prendere sul serio la presenza del male e del diavolo – tema ricorrente nel magistero di Papa Francesco – in un mondo che tende a relativizzare persino la violenza e la guerra?

Il digiuno ci insegna che non è una sana politica lasciarsi andare alle “avidità” golose. In esso impariamo che, dominandoci, noi allarghiamo il nostro campo di azione. Scopriamo così facilmente che il nostro spazio è occupato anche dal male, da un diavolo oppositore, che ci tenta e prova a restringere il nostro vero spazio vitale, rendendoci schiavi di un mondo da noi stessi ristretto con scelte meschine, per esempio quella di credere nel solo pane materiale. Si digiuna solo quando si vede in modo critico il mondo e si accetta di spezzare con decisione il cerchio dell’autoreferenzialità miope. È allora che appaiono ben visibili la violenza e le guerre.

Quando la nostra vista sarà sufficientemente acuta, queste realtà terribili saranno identificate come la tragica e lugubre dilatazione dei nostri stessi egocentrismi: allora combatteremo veramente violenza e guerra, con l’efficacia della nostra forza potenziata dalla Parola di Dio. Nel messaggio per la Quaresima di quest’anno, il Papa mette in guardia dai “falsi profeti”, dagli “incantatori di serpenti”, dall’inganno della vanità e di una vita completamente virtuale. Da che cosa, e come, dovrebbero digiunare i giovani?

Il virtuale è una stupenda e affascinante dilatazione del nostro mondo. Al tempo stesso, però, contiene il pericolo di trasformarsi in un finto allargamento, trasportando molti di noi in un mondo soltanto immaginato, bello perché non reale. Occorre un discernimento più nitido e più efficace, che si nutra anche di digiuno dal virtuale. Occorre una certa distanza.

Per esempio, non accade spesso che qualcuno spiazzi i suoi interlocutori perché si distrae e, mentre gli si parla, contemporaneamente digita e “lavora’” al tastierino? Forse non ce ne accorgiamo, ma talvolta facciamo soffrire l’interlocutore che ci sta concretamente di fronte. Gli spazi di solitudine sana si sono estremamente ridotti: gli altri hanno acquistano un’enorme potere di raggiungerci, avvolgerci, distrarci, cacciando via le persone concrete che ci stanno accanto… Il rischio è anche di una riduzione degli spazi di preghiera. Credo che dovremmo impegnarci di più a digiunare dai disturbi delle relazioni concrete, che asciugano i nostri dialoghi con gli altri e impoveriscono i rapporti con il prossimo e con il Signore.

Fonte: Sir
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