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Il vescovo Douglas al Corriere Cesenate: "Testimonianza, non numeri"

L'intervista pubblicata sul primo numero del 2022 dell'edizione cartacea che monsignor Regattieri ha richiamato questa mattina nell'incontro con i giornalisti

Il vescovo Douglas al Corriere Cesenate: "Testimonianza, non numeri"

A colloquio con il vescovo Douglas. A tutto campo. All’inizio dell’anno abbiamo fatto il punto su numerose questioni che riguardano la vita della comunità cristiana in Cesena-Sarsina. Abbiamo parlato della nuova geografia delle parrocchie introdotta con il recente direttorio. Si è affrontato il tema della pandemia che ha svuotato le chiese. Abbiamo trattato dei giovani, delle difficoltà delle famiglie, delle vocazioni, della visita pastorale, del ruolo dei laici nella chiesa, dei temi etici, delle questioni delicate riguardanti l’istituto “Lugaresi” e la Piccola famiglia della Resurrezione. 

Eccellenza, partiamo dall'entrata in vigore del nuovo Direttorio sulle unità parrocchiali. Dopo due anni di lavori si è arrivati a una conclusione. È una fine o è l'avvio di un processo?

È evidente che si tratta di un avvio. Come spesso ci richiama papa Francesco: abbiamo iniziato un processo che va continuato e approfondito. A gennaio incontrerò singolarmente i sacerdoti di ogni unità parrocchiale e, dopo sei mesi intendo fare con loro una prima verifica. 

Come continuare a seguire le piccole comunità?

La ristrutturazione non intende lasciare indietro nessuno. Dobbiamo curare tutti. È certo che la forma della cura deve cambiare. Bisogna che anche i laici si rendano conto che siamo in un cambiamento d’epoca. Insieme bisogna studiare forme nuove di pastorale. Incoraggio i sacerdoti a intraprendere iniziative nuove, dopo un attento esame della situazione. Se le iniziative sono prese in comunione tra i sacerdoti e con il coinvolgimento attivo del consiglio pastorale parrocchiale unico per tutte le parrocchie, questa mi pare una buona premessa per dare inizio a percorsi nuovi. 

Quale ruolo giocheranno i laici in questa nuova geografia diocesana? E i diaconi? Avremo dei diaconi parroci?

Auspichiamo una maggiore soggettività laicale. Questo implica che ci sia da parte dei sacerdoti una disponibilità a coinvolgere e dei laici a proporsi. A questo proposito là dove non c’è più da anni il parroco residente vorremmo istituire la figura del laico cooperatore pastorale con compiti di gestione degli aspetti amministrativi e organizzativi della pastorale. Per quanto riguarda i diaconi, in Diocesi abbiamo già almeno tre esperienze che vanno nella direzione di affidare a loro una certa responsabilità pastorale: a Quarto, a Boschetto e a Montiano. L’esperienza va continuata. 

La pandemia ha in buona parte svuotato le chiese, in particolare di giovani e di anziani. I primi per disaffezione, i secondi per i timori dei contagi. Che fare per recuperare le relazioni?

Ci stiamo interrogando molto su questo. Un po’ il tempo lo dirà: vedremo se quando sarà terminata la pandemia si ritornerà a una presenza ‘normale’ della gente in chiesa. Tuttavia sono convinto che non è più la presenza fisica il criterio per definire la fede. L’Eucaristia resterà sempre il culmine e la fonte di tutta la vita cristiana. Dovremo sempre tendere a far crescere questa consapevolezza. Tuttavia le forme, i luoghi e le situazioni della celebrazione forse dovranno essere rivisti e bisognerà lavorare di fantasia per offrire sempre e comunque quello che noi riteniamo essere il Sacramento dell’unità della Chiesa e della comunione fraterna. 

A suo avviso la pandemia ha solo accelerato un processo già in atto? "Non ci si salva da soli", disse papa Francesco lo scorso anno in una piazza san Pietro deserta. È davvero così?

>Da un lato mi sembra di poter dire che c’è in molti la consapevolezza che “non ci si salva da soli”. Dall’altro lato, ho l’impressione che avanzi un altro slogan in netto contrasto con il primo: “Si salvi chi può”. L’ha detto anche papa Francesco lo scorso 31 dicembre al Te Deum di fine anno. Cioè, avanza un preoccupante individualismo anche religioso che è molto rischioso. Per questo noi per due anni come linee pastorali, abbiamo scelto di riflettere sul nostro essere Chiesa, cioè sul ‘noi’ della fede. 

La famiglia e i giovani costituiscono la frontiera più complessa da avvicinare. Come si interroga su questi temi la Diocesi di Cesena-Sarsina?

C’è un forte impegno da parte dei due organismi diocesani deputati a questo. Vedo un appassionato tentativo di tenere alta la guardia in questi due ambiti. Anche se le risposte non sempre sono soddisfacenti. Tuttavia l’impegno va continuato e incoraggiato. Poi ci sono le parrocchie che sono il luogo primario della presenza della famiglia (vedi i gruppi sposi), e dei giovani (vedi soprattutto le associazioni come l’Ac, l’Agesci e Comunione e liberazione). 

Ha ancora senso per la Chiesa insistere sui temi etici, come è accaduto qualche settimana con l'intervento del Consiglio pastorale diocesano e del Consiglio diocesano delle aggregazioni laicali?

La fede non ha solo una dimensione dogmatica, veritativa, ma anche morale, tocca la vita: suscita domande per la vita quotidiana. Se ricordiamo la prima predicazione troviamo questa domanda da parte della gente: che cosa dobbiamo fare? (Cfr At 2, 37). Anche Giovanni Battista dovette rispondere al medesimo interrogativo (Cfr Lc 3, 10). Il recente intervento del Consiglio pastorale diocesano e di quello delle aggregazioni laicali su alcuni temi etici è stato non sul piano della fede e del Magistero della Chiesa, ma su quello umano. C’è un umano e una visione dell’uomo che non può non trovarci tutti d’accordo, altrimenti il dialogo è impossibile. 

Le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata e i preti sempre più anziani. Che succederà in un domani che forse stiamo già vivendo?

Succederà che si sarà costretti a cambiare pastorale. Con la ristrutturazione in atto vorremmo anticipare i tempi; ma in realtà ci stiamo accorgendo che forse siamo già in ritardo. Meno preti significa dare a loro una responsabilità pastorale più ampia dal punto di vista territoriale. Come avviene in missione. È evidente che questo comporta un coinvolgimento maggiore dei laici che devono essere considerati non solo dei collaboratori, ma dei veri corresponsabili. Bisognerà studiare forme nuove e diverse per tale coinvolgimento. Credo che sarà l’impegno principale della Chiesa in futuro. 

Questioni aperte di cui si è parlato molto nei mesi scorsi e che abbiamo affrontato in precedenti colloqui con lei. Il “Lugaresi” e don Orfeo. Come ci può aggiornare il vescovo? Qualcuno accusa sempre la Chiesa di occuparsi troppo di questioni economiche o similari.

Sia i problemi sorti circa l’istituto “Lugaresi” che la questione riguardante la Piccola Famiglia della Risurrezione non sono stati occasionati principalmente e primariamente da problemi economici; bensì da questioni più di fondo, riguardanti la missione pastorale e spirituale di entrambi le istituzioni. Avevo constato – e tuttora permane il problema – un ‘degrado’ pastorale del Lugaresi, dopo il ritiro dei padri dell’Istituto stesso. Risfogliando le carte mi sembrava che ci fossero le condizioni per attuare quanto il canonico Lugaresi aveva stabilito nel testamento e cioè che qualora i padri avessero lasciato l’istituto, questi sarebbe dovuto passare sotto la responsabilità del vescovo ordinario della Diocesi. Mi muoveva l’intento non di prendere possesso di un complesso murario e non solo, molto ampio, ma di garantire una continuità e salvaguardare un patrimonio che è di tutta la città. Il Tribunale civile di Forlì ha emesso la sentenza definitiva secondo la quale la partenza dei padri dall’Istituto non va letta come un abbandono dell’istituto stesso. E quindi la causa è chiusa. Il Lugaresi continuerà a essere guidato dai padri giuseppini, anche se da lontano, diremmo ‘da remoto’. Con tutte le conseguenze che sono sotto i nostri occhi. La questione circa la Piccola Famiglia della Risurrezione anch’essa è ormai chiusa. Sono contento di aver mantenuto in Diocesi il carisma della Piccola Famiglia della Risurrezione. Se non fossi intervenuto al momento giusto con il commissariamento della Famiglia, ora - essendo don Orfeo fuggito con un monaco e sette sorelle - la Diocesi sarebbe stata privata di un dono grande. Ho celebrato, a carico di don Orfeo, come mi è stato indicato dalla Congregazione del clero, un processo penale amministrativo extragiudiziale che si è appena concluso con la sentenza che impone la censura, a norma del canone 1333, della sospensione della facoltà di celebrare in pubblico sacramenti o sacramentali, della facoltà di ascoltare le confessioni e di predicare, in chiese e oratori in occasione di riunioni di fedeli. 

La comunità cristiana sempre più ridotta è chiamata forse a una più forte testimonianza. È quella che manca oggi? Lei che sta girando per la seconda volta tutte le parrocchie per la visita pastorale, cosa nota?

Certo, noto un calo di presenze, ma non di impegno e di voglia di continuare a testimoniare il Signore. Mi commuovono sempre gli sforzi dei sacerdoti e dei laici a continuare l’impegno della evangelizzazione, a stare vicino alla gente. Credo che non dobbiamo più preoccuparci del numero o di tornare a come eravamo. Bisogna prendere atto che siamo pochi: ma dobbiamo essere più creativi, più profetici e più significativi. È questione di testimonianza e non di numeri. Diceva papa Benedetto XVI: la Chiesa, minoranza profetica. 

Eccellenza, siamo anche nel primo anno del sinodo, anno dedicato all'ascolto. Che significato può avere per la nostra gente? Cosa si sta facendo nelle varie comunità?

Il lavoro del Sinodo coincide con il nostro tema, la Chiesa, perché la Chiesa è Sinodo. Mi sono preoccupato di coinvolgere prima di tutto gli organismi diocesani. Abbiamo a più riprese affrontato le domande del Sinodo e ci siamo ascoltati e confrontati. Ora tocca anche alle comunità parrocchiali, ai gruppi e alle associazioni. Abbiamo tempo fino a Pasqua per fare questo ‘ascolto’.

Infine, con quale spirito ci affacciamo al nuovo anno, mentre la pandemia si fa sentire con tutta la forza della quarta ondata?

La Caritas continua la sua azione di aiuto e di animazione. L’istituzione delle diaconie della carità si rivela sempre più strategica per l’individuazione dei bisogni. La pandemia ha sollevato problemi sempre più complessi anche dal punto di vista materiale ed economico. È per questo che è necessario agire in sinergia con quanti hanno responsabilità della gestione del bene comune. Penso alle istituzioni civili, ma anche alle diverse associazioni e gruppi che lavorano in questo campo con tanto fervore. Insieme si potranno dare delle risposte più efficaci e adeguate.

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