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Giorgio Pollastri (Apg23): "La lunga mano di Dio"

"È stato in quel preciso momento che ho scelto il mio cammino personale nel non farmi possedere dalle cose e dal denaro e di affidarmi sempre di più al rapporto con il Signore che ci dà sempre ciò di cui abbiamo bisogno. Credetemi, è una avventura bellissima e ancora oggi continua", dice Pollastri

Foto di repertorio agensir.it

Caro Francesco, è da un po' che non ci sentiamo. Ascolta quello che ho da dirti. 

Mi piace chiamarla “la mano lunga del buon Dio”, che arriva dopo tutto il nostro impegno di mettere al primo posto il Signore nella nostra quotidianità. Lui non si risparmia mai di donarci tutto il necessario.

In questo racconto di cose veramente accadute a me, vi scrivo solo alcuni dei fatti che riguardano i tanti doni del Signore. Le cose belle vanno raccontate, sempre. 

Nel 1981 ad agosto conosco la Comunità Papa Giovanni XXIII fondata dal nostro caro don Oreste Benzi e da allora, dopo una vita travagliata nella mia città natale, Milano, arrivo a Rimini e da lì inizia il mio cammino di riscoperta della fede e poi della vocazione della Comunità: seguire Gesù povero, servo, sofferente, che espia i peccati del mondo.

Un giorno vado a Milano, siamo nel 1982, a trovare la mia famiglia d’origine. Quando parto, la mia mamma (sapete le mamme!), mi dà un bel gruzzoletto di lire e mi dice: “Non darli tutti alla casa famiglia. Tienili tu, ti possono servire”.

Arrivo a Rimini e il giorno dopo vado alla Messa. Il parroco, durante l’omelia, chiede a tutti i presenti di poter dare una mano ad una famiglia che si trova in difficoltà a pagare le bollette di casa. Dentro di me mi sono detto: io ho quei soldi, perché me li tengo per me quando queste persone hanno bisogno? Io ho tutto quello che mi serve! Finita la Messa sono andato dal parroco e li ho dati a lui.

È stato in quel preciso momento che ho scelto il mio cammino personale nel non farmi possedere dalle cose e dal denaro e di affidarmi sempre di più al rapporto con il Signore che ci dà sempre ciò di cui abbiamo bisogno. Credetemi, è una avventura bellissima e ancora oggi continua. 

Siamo negli anni ’80/’90: la Comunità Papa Giovanni mi affida la responsabilità di aprire una comunità terapeutica specifica dove intraprendere un lavoro importante con le famiglie di persone cadute nella droga. Per 22 anni porto avanti questo impegno, con 20\25 ragazzi provenienti da tutta Italia e non solo. È stata un’esperienza di vita bellissima, complicata, una scuola di vita che mi ha formato come uomo. La vocazione della Comunità entra sempre più nel mio cuore e nella mia vita. Lì ho trovato il senso per cui vivere: Gesù amico dei più disperati, dei più poveri. Ho sentito di essere al mio posto e ho scoperto in tutti quegli anni quanti doni il Signore ha dato ai poveri, tantissimi.

Oggi posso dire che tanti di quei ragazzi accolti vivono in tutto il mondo, con grandi responsabilità nella nostra vocazione. Che roba bella. Nel frattempo, nel 1988, lo voglio dire, ho sposato Rosa e da subito abbiamo scelto di essere una casa famiglia per chi non ha una famiglia. E lo siamo tuttora. 

In quegli anni, quando un ragazzo in programma stava cominciando il reinserimento nella propria famiglia, lo accompagnavo a casa e sempre andavamo assieme dal parroco del paese o del quartiere per fare conoscere anche a lui il suo cammino di rinascita. In quelle occasioni immancabilmente i parroci ci chiedevano di ritornare per fare qualche incontro con le famiglie del posto che stavano affrontando lo stesso problema. Così abbiamo girato l’Italia per fare conoscere che dalla droga si può uscire.

In ogni parrocchia mi chiedevano di intervenire durante l’omelia alle Messe della domenica assieme a qualche ragazzo. Non ho mai detto di no. Siamo stati a Vicenza, a Pescara, a Padova, a Rimini, a Bologna e in tanti altri posti e quando ripartivamo ci davano così tanta provvidenza che quando arrivavamo in Comunità ne avevamo da distribuire a diverse altre casa famiglia.

Ma non solo: mi mettevano in tasca soldi, assegni e tutto finiva in Comunità a chi aveva bisogno. Che bello vivere l'incarnazione del Vangelo. 

Salto qualche anno. Siamo nel 1995 e don Oreste chiede a tutti noi responsabili delle comunità terapeutiche se c’è qualcuno disponibile ad andare in Croazia ad aprire una nuova comunità, perché stava finendo la guerra ed il vescovo di Spalato continuava a chiedere a don Oreste di andare nella sua diocesi.

Ho detto di sì. Così, nel mese di agosto, vado con tre ragazzi in programma per vedere alcune case messe a disposizione per sceglierne una e cominciare. Ne vediamo parecchie, ma tutte praticamente distrutte dal passaggio della guerra. Finalmente ne troviamo una ai confini con la Bosnia, a soli sedici chilometri da Medjugorje; una casa abbandonata da oltre vent’anni, senza finestre, tutta da riprendere.

Torno in Italia e vado da don Oreste e gli dico che la casa c’è, però servono un po' di soldi perché va sistemata un po' alla volta. Mi ricordo di come era contento per la vicinanza a Medjugorje. Ci lasciamo dicendo insieme un’Ave Maria, chiedendo alla Madonna di darci qualche segno per cominciare ad aprire questa nuova comunità in Croazia. 

Io so che voi non ci credete! La mattina dopo, come sempre, sono in comunità a San Mauro Pascoli e viene a trovarmi una coppia abbastanza anziana il cui figlio tossicodipendente era stato da noi. Nella sua vita lui ne aveva combinate veramente tante, ma adesso sapevo che aveva una moglie e due figli e stava andando tutto bene. Mi dicono che mi devono dire una cosa e subito mi chiedo: cosa sarà successo? Andiamo in cappellina, diciamo insieme un’Ave Maria e poi mi dicono: “Giorgio, quando nostro figlio è venuto qui perché era un tossicodipendente, abbiamo fatto una promessa alla Madonna: se fosse ritornato ancora con sua moglie e i figli e si fosse rimesso, avremmo fatto un’offerta alla Comunità”. Mi mettono in mano due assegni, ma io non guardo nemmeno la cifra riportata perché mi sembra una brutta cosa; però loro mi chiedono di guardare: erano due assegni da 25 milioni di lire ciascuno. Per prima cosa li ringrazio tantissimo e racconto loro che il giorno prima ero assieme a don Oreste e della nuova comunità in Croazia. “Li possiamo usare lì?”. “Certo, fate quello che volete”.

In quell’instante mi sono detto: Giorgio, quanto sei ancora piccolo nella fede. Tu, Signore, non finirai mai di stupirmi! Sapete, questo mi continua a succedere anche oggi e che roba bella quando mi riconosco una persona piccola che ha sempre bisogno di essere portato per mano dal Signore... 

Nel 2016, dopo una lunga esperienza di oltre 15 anni a Cattolica, dove con Rosa abbiamo diretto un albergo donato alla nostra Comunità, siamo ritornati a pieno ritmo nella vita di casa famiglia.

Dopo un breve stacco ecco che come Comunità ci viene proposto di aprire una casa accoglienza per migranti e anche qui il Signore ci ha fatto un bel regalo: il vescovo Douglas con la Diocesi di Cesena-Sarsina ci mette a disposizione la canonica di Bagnile, vicino a San Giorgio, per far nascere questa nuova esperienza di vita. Non solo: nel 2018 ci viene offerto nel vescovado un luogo per accogliere 12 persone senza fissa dimora, proprio lì dove al piano di sopra già è presente una casa famiglia che prega e accoglie per tutta la Comunità.

Posso testimoniare la grande accoglienza che abbiamo avuto in questo territorio: la provvidenza arriva ogni giorno, le difficoltà ci sono come in ogni altra famiglia, ma sempre nella certezza che il Signore continua a condurci. Dove non lo sappiamo, ma a me interessa che lo sappia Lui.

Potrei raccontatore tanti altri episodi quotidiani, piccoli o grandi, dove il Signore ci fa esperimentare la sua presenza; a Lui devo solo chiedere di aumentare la mia fede, ancora così piccola. 

Cosa mi aiuta nel cammino di povertà?

L’avere scelto di non possedere nulla e questo anche nel nostro matrimonio e nella nostra casa famiglia. Mia moglie ed io abbiamo ricevuto dalle nostre famiglie di origine due eredità. Rosa ha messo tutto in cassa comune nella Comunità, mentre io ho rinunciato alla mia: onestamente non mi spettava, perché fino a che ho vissuto con la mia famiglia io ho solo preso senza mettere nulla.

Queste scelte non ci hanno reso più poveri: i nostri figli lo sanno e forse non avranno cose materiali da noi genitori, ma con loro viviamo un bel rapporto sincero e costruito su sicurezze che non sono materiali. Noi ci siamo, è questo quello che noi abbiamo. Siamo anche diventati nonni di due bellissimi bimbi.

Davvero il cammino nella Comunità Papa Giovanni ci fa vedere e toccare con mano quali sono le vere ricchezze nella vita. Attraverso la nostra vocazione il Signore ogni giorno ci aiuta a camminare in Lui, con i poveri, con gli esclusi, con i fratelli di Comunità, nella preghiera. 

Nel nostro territorio, da Cesena fino a Savignano sul Rubicone, un gruppetto di persone della Comunità ogni giorno è impegnato nella raccolta della provvidenza: andiamo nei supermercati a prendere le eccedenze, il fresco in scadenza, frutta e verdura, e tutto ciò che viene donato. Due giorni alla settimana distribuiamo tutta questa provvidenza a chi ha bisogno: pensate, sono quasi trecento le persone che vengono ogni settimana. Durante la chiusura per il Codiv-19 abbiamo continuato a distribuire pacchi settimanali a 52 famiglie bisognose e anche oggi stiamo continuando con 22 famiglie del territorio cesenate. Il Signore sa di cosa abbiamo bisogno e non lo fa mancare.

In famiglia noi eravamo nove persone, tutte sulle spalle di mio padre che faceva il contadino e di mia madre. A giugno, quando il grano era pronto per la mietitura, ogni tanto arrivava la grandine e rovinava tutto il raccolto. Sapete cosa diceva mio padre? “Il Signore provvederà!”. Si rimboccava le maniche e ricominciava. Non ci è mai mancato nulla.

Posso dire di aver avuto il dono di due genitori fantastici, che si sono amati fino alla fine senza mai lamentarsi delle fatiche della vita e che hanno sempre pregato molto per me, in tutti i momenti difficili e non della mia vita.

Grazie, Signore, per tutti questi doni belli. Aiutami ad affidarmi sempre di più al tuo Amore.

Giorgio Pollastri

Comunità papa Giovanni XXIII

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