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Rosauro Amadori al direttore: "Con lo sguardo, oltre il deserto, per un nuovo inizio"

Scrive il presidente diocesano di Azione cattolica: "Sta a noi, oggi, alzare lo sguardo per riaccendere quella speranza che sta rischiando di spegnere anche le nostre comunità"

Foto archivio ansa/agensir.it

Caro direttore,

è passato un anno dall’indimenticabile sera del 27 marzo 2020, quando in una piazza san Pietro completamente deserta, a Roma, papa Francesco ci ha regalato ancora una volta tutta la bellezza e l’immagine di una Chiesa povera e pellegrina, pronta a farsi vicina per incontrare e incoraggiare tutti. Con quel suo passo lento e caracollante, ma col cuore eternamente giovane, pronto ad accarezzare e a sospingere ogni donna e ogni uomo a non arrendersi di fronte alle grandi prove a cui siamo sottoposti. Sì, perché le nostre piazze e le nostre strade, a distanza di un anno, purtroppo sono tornate a essere deserte; ed è un deserto che agli occhi di molti sembra essere un’assenza di Dio.  

Circa un mese fa, questo instancabile Papa è volato in Medio oriente in un'altra zona deserta, nella piana di Ur, terra del padre Abramo, il grande Patriarca che unisce Cristiani, Ebrei e Musulmani. Da quella collina della pace il Santo Padre ha pronunciato parole di unione e di fratellanza: «Non ci sarà pace finché gli altri non saranno un “noi”. E poi le parole sulla responsabilità da assumersi: «Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, mettere a tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli scartati sul pianeta. Sta a noi custodire la casa comune dai nostri intenti predatori. Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa».

Sta a noi, oggi, alzare lo sguardo per riaccendere quella speranza che sta rischiando di spegnere anche le nostre comunità. Il deserto è e può essere un punto di incontro fra gli uomini e con Dio come lo è stato per tanti: Mosè, Giovanni, Gesù stesso che si ritirava nel deserto per una intimità più profonda con il Padre, Charles De Foucauld o Carlo Carretto che amava fare deserto anche nella città stessa alla ricerca di una relazione più stretta con Dio. Papa Francesco sa guardare lontano, oltre il deserto; e oltre il deserto c’è qualcosa di nuovo che ci attende. Quali le stelle della promessa che possiamo vedere nella nostra quotidianità messa a dura prova dalla complessità del momento? Come comunità cristiane siamo chiamati ad abitare ogni criticità che può coinvolgerci e come Chiesa dare una risposta alle difficoltà e alle stanchezze che stiamo vivendo. «Per la Chiesa, i giorni crocifissi sono i giorni benedetti»: così si esprimeva il cardinale Anastasio Ballestrero, già arcivescovo di Torino, in un’intervista rilasciata quasi alla fine della sua vita. A volte abbiamo la sensazione che questa situazione stia mettendo in luce un indebolimento delle comunità cristiane che la pandemia non ha fatto altro che mettere in evidenza. Non possiamo certo negare le difficoltà che ogni giorno si presentano, chiese più o meno vuote, carenza di ragazzi e giovani, la fatica di trovare educatori disponibili per accompagnare i più piccoli. Di fronte a quello che sembra essere una sorta di fallimento, ci sono anche segnali positivi grazie a tante persone, che con generosità, cercano di moltiplicare occasioni per tenere insieme una discreta normalità nel mantenere legami e costruire relazioni.

Ed è sempre papa Francesco che ci incoraggia ad attraversare quello che sembra essere il nostro deserto che, invece di renderci fedeli al Signore, a volte può apparirci inospitale e inaffrontabile. È vero che nella fatica si possono affacciare le tentazioni più insidiose: quella di criticare scelte e di giudicare, di prendere le distanze da una Chiesa di cui sappiamo vedere solo i difetti, di chiamarsi fuori, come se le responsabilità e le fatiche di questo momento fossero solo di qualcuno, e non toccassero a ciascuno di noi. Tuttavia qualche germoglio e qualche segnale si intravvede anche in questo momento di prova. C’è speranza in quei  giovani e in quegli adulti che sanno mettersi a servizio abbracciando tante situazioni di sofferenza. In quelle famiglie che stanno sperimentando la bellezza del pregare insieme; in quelle persone che scoprono la ricchezza della Parola di Dio e la profondità interiore di una preghiera semplice e spontanea che sa far spazio al silenzio e a piccoli gesti amorevoli di ogni giorno verso il prossimo.

Questo è il momento di ricordare che la Chiesa è nostra madre e forse possiamo risvegliare sentimenti di comprensione e di condivisione, che ci fanno sentire che questi giorni difficili sono anche nostri; possiamo portare insieme la croce di questo momento, e al tempo stesso scrutare i segnali di un nuovo inizio. Questo è soprattutto un tempo di attesa, operosa, creativa e coraggiosa, ma soprattutto umile, ed è segno di una fede che crede che nel futuro della Chiesa vi è una benedizione. In quanti dicono che tutto non sarà più come prima, forse c’è la speranza in una vita  più essenziale, dettata dall’amore di quel crocifisso che si è donato senza riserve per ognuno di noi e che una volta attraversato “il deserto” c’è all’orizzonte una terra promessa per un nuovo inizio. Papa Francesco ci sta richiamando con grande forza a essere artigiani della vita, perché l’artigiano è colui che non fa le cose in serie o tanto per farle, ma con grande cura e passione valorizza e realizza dei piccoli capolavori anche dove la bellezza sembra impossibile, nascosta o incrostata dalla polvere. “Credo nel sole, anche quando non splende; credo nell'amore, anche quando non lo sento; credo in Dio, anche quando tace".

Questi giorni saranno anche per noi come una benedizione se sapremo affrontarli insieme come artigiani di comunità uniti dalla speranza e dallo spirito del Risorto che ci invita a “servire e dare la propria vita”.

Rosauro Amadori

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