Francesco in fuga da Cuba con la famiglia. La testimonianza da un Paese in preda a una crisi senza fine

"Europa, una via di salvezza"

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Il Paese da sempre simbolo di libertà e paradiso esotico, è in forte crisi, la popolazione fugge, l’esodo è iniziato dal 2021. Una testimonianza diretta.

Turismo dimezzato

Il paradiso perduto. Sembra non esserci fine alla crisi che attanaglia Cuba. Secondo un articolo del The New Yorker, gli abitanti scappano dall’isola per sfuggire alle avverse condizioni economiche in cui versa lo stato caraibico e dalla repressione che il governo autoritario esercita sulla popolazione. Una delle principali fonti di reddito, “il turismo si è più che dimezzato nell’ultimo decennio” si legge nel periodico statunitense. “La pandemia per due anni aveva paralizzato la vita pubblica, ma già prima la situazione era peggiorata”, complici anche le sanzioni economiche di Trump.

Abitanti in fuga dal 2021 La testimonianza di “Francesco”

La vera causa però è “la fuga degli abitanti, non dei turisti”. L’esodo è cominciato nel 2021 quando folle di manifestanti “protestavano per le politiche oppressive del governo e la scarsità di generi alimentari e medicine”. Secondo una stima il 18 per cento dei cubani ha lasciato la patria, con destinazione appunto gli Stati Uniti in Florida, ma anche Nicaragua. Un’altra via di salvezza, è l’Europa. Lo chiameremo Francesco per tutelare la sua identità, un giovane cubano che ha raccolto i risparmi ed è partito insieme a sua moglie connazionale per sognare la libertà e una vita migliore.

L’intervista

Come mai hai scelto l’Italia?

“Da piccolo volevo comprarmi una casa per restare a Cuba, poi mi son chiesto come potessi andare avanti. Prima di partire mi sono informato e in Italia, oltre ad essere un paese democratico e sicuro, c’era la possibilità di ottenere asilo, oltre che un sussidio e di poter studiare e lavorare”.

Raccontaci il tuo viaggio.

“In aereo arrivai a Mosca con mia moglie. Potevamo restare al massimo 30 giorni col visto turistico. Avevamo il minimo indispensabile: qualche vestito, del cibo in scatola e un po’ di denaro. Dopo quattro giorni con un secondo volo andammo in Serbia. Con treni e autobus, anche affidandoci a organizzazioni non legali per il traffico di migranti che ci aiutarono a passare i confini, arrivammo in Bosnia. A piedi passammo la frontiera con la Croazia. Poi dalla Slovenia giungemmo a Trieste in pullman il 14 marzo 2023. In Piemonte chiedemmo subito asilo politico in questura, ora siamo in regola ma aspettiamo l’esito”.

Non eravate soli.

“Eravamo un gruppo di 50 persone: c’è chi è andato in Spagna, in Francia altri a Londra dai parenti”.

Le difficoltà di ambientamento non sono mancate.

“Nel mio primo lavoro da lavapiatti, il barista dominicano mi faceva le traduzioni dall’italiano allo spagnolo”.

Molti invece scappano negli Stati Uniti.

“Non sono emigrato negli Usa per il lungo viaggio da intraprendere dal Sud America. Da Cuba il governo non rilascia visti per l’estero, le uniche destinazioni possibili sono la Russia e il Nicaragua, dove c’è un’altra dittatura comunista. Negli Stati Uniti, con l’arrivo di Trump, ci sono ferree leggi sull’immigrazione e negli ultimi anni il governo sta rimpatriando gli immigrati cubani”.

Quanti membri della tua famiglia sono rimasti a Cuba?

“Tutti. Ho sorelle e fratelli, oltre ai genitori, nonni e cugini. Mia moglie ha ancora più parenti di me sull’isola”.

Di cosa ti occupi?

“Oggi lavoro in un supermercato di Cesena”. 

In patria?

“A Cuba mi ero laureato in contabilità. Il mio stipendio mensile era di 3500 pesos, circa 7,30 euro sul mercato nero (sul mercato internazionale sarebbero stati circa 120€, ndr). Per fare un esempio: un chilo di carne costava 1680 pesos”.

La situazione è difficile: lo Stato non è autosufficiente e l’economia è fragile.

“Quando sono uscito dal paese nel 2023, le condizioni erano migliori di ora. Non parlo con mia madre per 4-5 giorni perché non ha elettricità e di conseguenza non va internet. Il governo dice che il sistema energetico del paese è guasto e servono soldi per metterlo a posto, ma non cambia mai nulla”.

Emblematica la scarsità di benzina.

“È impossibile comprare un’automobile. Mio padre che è medico ricevette nel 1989 una Moskvic dall’Urss quando andò là a studiare. Oggi tutte le auto sono vecchie di oltre 35 anni fino a 50. Per una macchina servono dai 35 ai 40mila dollari e un litro di benzina può arrivare a costare anche più di due dollari americani. Il carburante è razionato e arriva una volta a settimana. La gente si mette in fila e ognuno riceve un quantitativo predefinito di litri. C’è chi dorme lì in fila o paga altre persone per prendere anche pochi litri”.

Anche i beni di prima necessità sono razionati.

“Il primo problema è trovare carne, riso e latte. Il secondo è come pagare. A Cuba esistono dei centri di distribuzione e ogni famiglia ha un libretto con le dosi di alimenti da ritirare una volta al mese in base ai componenti. La quota non si può superare, perché è quello che lo Stato può dare”.

Ad esempio?

“Una persona può ricevere cinque uova e una saponetta al mese. Il riso è distribuito un chilo e mezzo a testa, e così via. Nel caso in cui mancasse qualcosa nel momento del ritiro, per quel mese si resterebbe senza quel bene”.

L’assistenza sanitaria?

“È vero che è gratuita e per essere visitati non serve appuntamento. Però mancano le medicine, gli strumenti e tutto il necessario anche per le banali operazioni”.

Il grande calo del turismo ha aggravato la situazione.

“Lavoravo in un aeroporto e ricordo che arrivavano 50 aerei in un giorno, dopo il Covid erano calati tra i cinque e i 10”.

L’istruzione è garantita?

“L’educazione è obbligatorio dai 6 fino ai 18 anni. A scuola non si pagano rette o iscrizioni però non ci sono libri”.

Per sopperire alle necessità, la popolazione usa ogni mezzo.

“Al mercato nero arrivano i prodotti prelevati, anche illegalmente, dagli alberghi per stranieri. Lì lavorano tanti cubani: rubano i beni, come il cibo, e li vendono. Il sistema si muove così”.

Con un regime militare la sicurezza è garantita?

“Un tempo ci si sentiva al sicuro, ora sono aumentati furti e rapine. La delinquenza c’è perché la gente poi perde la testa, ma meno che in Italia. Le armi da fuoco sono vietate, solo i militari le possiedono. C’è però l’altra faccia della medaglia: con lo stato autoritario non c’è libertà di parola e di pensiero, così come non c’è diritto di voto se non per il partito unico”.

Emblematica la protesta del 2021.

“L’11 luglio di quell’anno quasi la totalità della popolazione scese nelle strade per protestare. L’esercito represse con la violenza le manifestazioni. C’è ancora gente che sta scontando gli arresti arbitrari di quei giorni”.

Qualche giorno fa si è abbattuto anche l’uragano Melissa.

“Ci sono stati molti disastri. Tante persone hanno perso la casa perché sono costruite in legno e dormono in strada. Poi c’è il rischio di venire contagiati da malattie per l’acqua contaminata. Alcuni bevono quella del mare dopo che la fanno bollire”.

Come vedi il futuro di Cuba?

“Fino a che rimarrà una dittatura, non migliorerà mai la situazione, anzi ci sarà una involuzione. Internet a Cuba c’è da 10 anni e non è accessibile a tutti. Chi non ha mai viaggiato non conosce la situazione nel resto del mondo, come in Italia. Il governo mente alla popolazione. Quando sono arrivato in Italia ho visto che era possibile vivere in maniera diversa”.

Cosa speri per Cuba?

“Vorrei che ci fosse una democrazia, ma forse ci vorranno altri 50-60 anni. Per me stesso desidero portare tutta la mia famiglia in Italia, per fargli vedere quello che sto facendo e il mondo reale”.