Padre Faltas (Terra santa) in Romagna: “Il 7 ottobre ha cambiato tutto. Ora la pace è difficile”

Incontro ieri pomeriggio promosso da Progetto Sorriso, organizzazione di volontariato sammarinese legata alla figura di monsignor Pietro Sambi

Padre Ibrahim Faltas ieri a Sogliano al Rubicone prima dell'incontro sulla Terra Santa. Foto Mariaelena Forti
Padre Ibrahim Faltas ieri a Sogliano al Rubicone prima dell'incontro sulla Terra Santa. Foto Mariaelena Forti

“Il 7 ottobre 2023 ha cambiato tutto”

Tavola rotonda con il vicario della Custodia francescana di Terra santa

Israeliani e palestinesi che lavoravano insieme ora non si parlano più. A questo si aggiunge la distruzione a Gaza: 20mila di bambini orfani. Persone che non riconoscono più le loro città tanto sono distrutte. “Gaza è un cimitero a cielo aperto”. Padre Ibrahim Faltas riporta tutti alla realtà. Una realtà nella quale non si perde la speranza ma dove occorre fare i conti con tutto quello che è successo negli ultimi 18 mesi. Il vicario della Custodia francescana di Terra santa è stato ospite, oggi pomeriggio, a Sogliano al Rubicone, di un incontro organizzato da “Progetto sorriso” per i suoi 25 anni di attività. Presenti anche l’ambasciatore d’Italia a San Marino Fabrizio Colaceci, il segretario di Stato di San Marino per gli Affari esteri, Luca Beccari, e la sindaca Tania Boccini, Maria Alessandra Albertini, ambasciatrice della Repubblica di San Marino preso la Santa Sede e il vescovo di Rimini, monsignor Nicolò Anselmi. “Progetto sorriso” è un’ organizzazione di volontariato sammarinese molto legata alla figura di monsignor Pietro Sambi, nunzio apostolico e uomo di pace soglianese. “Quando sono a Sogliano non posso dimenticare il cardinal Sambi – racconta padre Ibrahim -. Per me è stato un fratello maggiore, un padre spirituale. Abbiamo sentito la sua mancanza in questa guerra. Mi ha fatto crescere tanto. Non lo posso dimenticare. E nemmeno la gente della Terra Santa lo dimentica”.

“La gente vuole rimanere a Gaza”

“Quello che dice Donald Trump è molto preoccupante – spiega il francescano rispondendo ad alcune domande del nostro direttore -. Ha promesso di lavorare per la pace in Terra santa ma poi ha fatto quella proposta per Gaza (di traferire altrove tutti coloro che vivono lì, ndr). Non si può, la gente vuole rimanere lì. È gente che non ha nessuna colpa. Non è Hamas”.

“Difficile tornare al dialogo”

Il problema, prosegue, è che la via della pace è più pericolosa di quella della guerra, come dimostra la storia di Terra santa e di chi in essa ha cercato la pace, come Yitzhak Rabin, storico primo ministro israeliano assassinato il 4 novembre 1995 da un colono ebreo estremista. Una via, quella della pace, che però oggi in Israele è sempre più difficile: “In questo momento è complicato tornare al dialogo, proprio a causa del 7 ottobre. Ci vuole molto lavoro, della comunità internazionale, dell’America. Occorre una soluzione vera. Dov’è la giustizia? Tanti cristiani sono andati via”. Il questo le parole del Papa sono state le prime ad alzarsi per un cessate il fuoco, subito dopo il 7 ottobre. Parole che purtroppo sono cadute nel vuoto: “Non vengono ascoltati i suoi appelli – conclude Faltas -. Spesso i suoi interventi vengono criticati. E ho visto quanto soffre per questo”.

La situazione in Israele: “Impossibile muoversi. La vita è un inferno”

La situazione in Israele è «drammatica – scandisce Faltas -. La tregua non è la pace. Sono rimasti 600 cristiani a Gaza, 400 stanno nella parrocchia latina della Sacra famiglia e 200 in quella ortodossa. Erano 5mila prima della guerra. E poi ora c’è la Cisgiordania sotto attacco: stanno facendo la stessa cosa che hanno fatto a Gaza: tra Jenin e Nablus ci sono 40mila persone senza tetto. Trovano rifugio nelle moschee, nelle chiese, perché il campo profughi è distrutto».  Anche nel resto dei territori, aggiunge padre Faltas, la vita «è un inferno. Betlemme è chiusa da 10 giorni. È impossibile muoversi tra le città palestinesi, se non con tragitti lunghi tante ore. Il turismo è bloccato. E tanti cristiani stanno andando via. A Betlemme rimarranno i cristiani? Questa è la nostra preoccupazione».

“I cristiani non riescono a lavorare. E la comunità internazionale non dice niente”

Da sempre la Chiesa in Terra Santa tanta di mediare, di assicurare a tutti una vita dignitosa, ma oggi, spiega padre Faltas, i margini sono ristrettissimi. È difficile costruire la pace: «Sono in Terra Santa da 36 anni, ma non ho mai visto una cosa del genere. Non danno retta a nessuno (gli israeliani, ndr). Hanno bloccato tutti i permessi, e i cristiani non riescono più a lavorare. Stanno perdendo tutto. E la comunità internazionale non dice niente. Quando è iniziata la guerra tutti i capi di Stato sono venuti in Terra Santa. Per tutti la soluzione è quella dei “Due Stati per due popoli”: è 70 anni che lo diciamo». Ma è un progetto rimasto sulla carta. 

La parola ai diplomatici. Beccari (San Marino): “Riconoscere lo Stato di Palestina”

Cosa possiamo fare noi per la Terra Santa? Ruota attorno a questa domanda il pomeriggio di riflessione di Sogliano.  “Come comunità qui è stato piantato un seme – spiega la sindaca Bocchini – quello che ci ha lasciato monsignor Pietro Sambi, un sapere e dei valori che poi germogliano: questo è il compito delle amministrazioni. Oggi siamo stati un po’ centro internazionale per la pace. Per noi è importante entrare nella complessità. Dobbiamo crescere come comunità. Iniziamo con una raccolta fondi per padre Ibrahim”.

“La pace non è qualcosa che avviene, va costruita – spiega il sottosegretario della Repubblica di San Marino Beccari – si deve fondare su presupposti di pace se no ci sono solo tregue. Uno Stato cosa può fare? Il problema di base è che c’è un popolo che non ha uno Stato e questo genera instabilità, terrorismo, morte, fame, condizioni disumane. Crediamo di dover andare oltre l’equidistanza e avviare un percorso di riconoscimento dello Stato di Palestina. Noi abbiamo iniziato avviando relazioni diplomatiche, appoggiando le risoluzioni che prevedono la partecipazione della Palestina alle decisioni dell’Onu».

Colaceci (ambasciatore d’Italia a San Marino): “No a gesti eclatanti, mantenere una fiammella”

Per l’ambasciatore d’Italia a San Marino Fabrizio Colaceci “la pace non è uno stato, ma qualcosa di fragilissimo e al tempo stesso necessario. Un’attività di cammino e costruzione. Nella “Fratelli tutti” papa Francesco ha detto che la pace si fa con piccole azioni, centrati su un’unica consapevolezza, che esiste l’altro“. Questa la strategia dell’Italia, secondo Colaceci: “alleviare le sofferenze, mettere al centro il riconoscimento della persona, e azioni di intermediazione, aiuti umanitari. Piccole cose, ma in rete”. E quando un giornalista fa notare che manca una dichiarazione ufficiale da parte dell’Italia sul riconoscimento della Palestina come Stato e sulla necessità di arrivare alla soluzione dei “Due popoli e due Stati”, Colaceci spiega che “l’Italia punta su due popoli e due Stati, con azioni umanitarie mai dimenticando l’uomo. Io una differenza tra piccoli e grandi gesti non la vedo: salvare una vita umana è un grande gesto. È un modo di mantenere una fiammella viva in una stanza buia. Ora non è possibile attivare il dialogo. Occorre avere la pazienza di chi fabbrica la pace. Tutto passa per la gradualità. Rifuggiamo dai gesti eclatanti se non hanno delle basi diplomatiche. In questo contesto il venir meno dei cristiani è un grande rischio: abbiamo bisogno di intermediazione sul terreno”.

Il vescovo di Rimini Anselmi: “Occorre prevenire queste situazioni”

Il vescovo Anselmi conclude il pomeriggio di riflessione sulla pace con una parola: “prevenzione. Non bisognerebbe arrivare a questi punti. La comunità internazionale doveva accorgersene prima. Era noto che a Gaza i palestinesi vivono come topi. Ora non so cosa si può fare. Ma occorre renderci conto delle diseguaglianze» sempre più ampie che creano sempre nuove barriere.