Il vescovo Douglas alla Messa di saluto. “La Parola di Dio arma invincibile per ogni prova”

"Il mio cuore ha ripetuto, col salmista, innumerevoli volte: "Cercate il mio volto!" (Sal 27, 8). T’ho cercato, Signore, nelle fatiche del ministero e nelle notti di silenzio", ha aggiunto il presule nell'omelia. "Grazie, carissimi fratelli e sorelle, soprattutto perché so che mi accompagnerete con la vostra preghiera"

Un momento della solenne concelbrazione eucaristica con la quale si è congedato dalla Diocesi il vescovo Douglas Regattieri. Cattedrale di Cesena, 8 marzo 2025. Foto Pier Giorgio Marini
Un momento della solenne concelbrazione eucaristica con la quale si è congedato dalla Diocesi il vescovo Douglas Regattieri. Cattedrale di Cesena, 8 marzo 2025. Foto Pier Giorgio Marini

La preghiera per il nuovo vescovo Antonio Giuseppe che farà il suo ingresso in Diocesi domenica prossima, 16 marzo

Ieri sera il saluto ufficiale alla Diocesi

Di seguito pubblichiamo l’omelia pronunciata dal vescovo Douglas ieri sera in Cattedrale durante la solenne concelebrazione eucaristica con la quale si è congedato dalla Diocesi. Monsignor Regattieri lascia la Diocesi di Cesena-Sarsina dopo aver compiuti i 75 anni di età il 5 ottobre 2024, e aver presentato le dimissioni pochi giorni dopo a papa Francesco, come prevede il Codice di diritto canonico. Il 7 gennaio scorso il Pontefice ha nominato nuovo vescovo l’arcivescovo di Matera-Irsina, monsignor Antonio Giuseppe Caiazzo. (cfr il pezzo al link qui sotto e quello con la fotogalley, in fondo)

Ecco qui il testo integrale dell’omelia

Era un martedì quel 28 settembre 2010; alle 18 mi dissero che dovevo salire su una barca che stava per passare davanti a casa mia e navigare in mare aperto: verso dove? Non mi fu ben spiegato, ma considerato da dove proveniva l’ordine, obbedii. Due mesi dopo, il 12 dicembre, in un pomeriggio freddo e rigido ma luminoso, pieno di sole, vidi la barca. Dietro, a poppa, un’immagine: la Madonna del Popolo. Aspettavano i suoi marinai, rematori e addetti alla navigazione e i tanti passeggeri un comandante, una guida. Salii con un po’ di trepidazione; ma con tanta fiducia; anche se non capivo ancora pienamente cosa mi stava succedendo. La navigazione cominciò.

La prima omelia fu sulla figura di san Giovanni Battista, il nostro patrono; era la terza domenica di Avvento. Il Battista ha svolto il ministero di precursore e di predicatore nel deserto. Oggi, con quest’ultima omelia, mi ritrovo di nuovo nel deserto, in compagnia però di Gesù, “guidato dallo Spirito” (Lc 4, 1). Il deserto: luogo caro alla spiritualità cristiana. Indispensabile dimorarvi per un’autentica vita cristiana. Bisogna ritornare periodicamente nel deserto – è questo l’incessante invito quaresimale – non per fuggire dalla realtà, ma per comprenderla meglio e, con animo più oggettivo e distaccato, dimorare in essa insaporendola con il sale della sapienza del vangelo (Cfr Mt 5, 13). “Mi è sempre piaciuto il deserto – scrive uno scrittore romanziere moderno -. Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla. E tuttavia qualcosa risplende nel silenzio” (A. de Saint-Exupery, Da “il Piccolo Principe”).

La memoria

Nel deserto, come l’antico Israele, siamo chiamati a fare memoria. Il deserto è il luogo della memoria: “Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto” (Dt 8, 2); “Io vi ho condotti per quarant’anni nel deserto; i vostri mantelli non si sono logorati addosso a voi e i vostri sandali non si sono logorati ai vostri piedi” (Dt 29, 4).Una memoria che dal deserto si prolunga nella vita. Quando l’israelita va al tempio per offrire le primizie del raccolto non può far a meno di ‘ricordarsi’ di tutto quello che Dio ha fatto per lui: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto. (…) Gli Egiziani ci maltrattarono, (…) Allora gridammo al Signore, (…) ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, (…)  Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele” (Dt 26, 5-9, passim).

Anch’io, questa sera, faccio memoria di quello che Dio ha fatto per me: il dono della vita, della fede, della famiglia, della parrocchia e della Diocesi: sono state il grembo da cui sono uscito: discepolo, prete e vescovo. Niente di dovuto, ma tutta grazia immeritata e sovrabbondante. Da non dare mai per scontata. Faccio memoria grata di questi 14 anni di episcopato: per le belle esperienze pastorali e per le croci; per le gioie provate e per le lacrime versate; per i giorni di navigazione calma e tranquilla e per le notti di tempesta. Dio sia lodato! Sempre! Come vorrei fare mia l’esclamazione grata di Giobbe: “Nudo uscii dal grembo di mia madre, / e nudo vi ritornerò. / Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, / sia benedetto il nome del Signore!” (Gb 1, 21).

L’incontro

Il deserto è il luogo anche dell’incontro con Dio. Mosè nel deserto arse dal desiderio di vedere il volto di Dio. Ma non gli fu concesso; lo scorse di spalle: “Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere” (Es 33, 21-23).

Gesù ha rivelato il volto di Dio all’umanità: “Dio, nessuno lo ha mai visto: / il Figlio unigenito, che è Dio /ed è nel seno del Padre, / è lui che lo ha rivelato” (Gv 1, 18). In Lui anch’io – e solo per sua Grazia – l’ho scorto di spalle: nel sorriso dei bimbi, nei canti e nelle danze dei giovani, nella lacrime degli anziani, nelle tribolazioni degli sposi, nelle mani tese dei poveri, negli occhi spauriti e supplichevoli dei carcerati, nelle sofferenze dei migranti, nelle fatiche e nelle stanchezze dei miei confratelli sacerdoti e diaconi. L’ho visto in quelle due ore benedette, seppure nascosto nelle sembianze dolci e tenere del suo Vicario in terra, quella domenica del 1° ottobre 2017; l’ho visto nelle chiassose e vigorose spalate di fango, tra canti e sorrisi, di giovani venuti da ogni dove nella nostra città a maggio 2023; l’ho visto nei volti sofferenti dei malati visitati negli ospedali e nelle case di cura. Il mio cuore ha ripetuto, col salmista, innumerevoli volte: “Cercate il mio volto!” (Sal 27, 8). T’ho cercato, Signore, nelle fatiche del ministero e nelle notti di silenzio. Ho vissuto anch’io – come ho potuto – l’ansia di un grande padre della Chiesa: “Che io ti cerchi, Signore, desiderandoti e ti desideri cercandoti, che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti” (Anselmo d’A. Proslogion 1).

La prova

Ma il deserto è anche il luogo della prova e della tentazione. In questa prima domenica di Quaresima meditiamo la lotta di Gesù col Maligno, armato solo della forza della Parola, perché “vicina a te è la Parola sulla tua bocca e nel tuo cuore”, ci ha detto il testo del Deuteronomio (Cfr Dt 30, 14) citato da san Paolo nella lettera ai Romani (Cfr Rm 10, 8). Sono state le faticose navigazioni finite in retate vuote, sferzate da venti contrari e in mezzo a burrascose tempeste. È stato assistere con stupore al progressivo ma incessante oscuramento dei valori dello spirito. È stato non riuscire a capacitarmi di come sia possibile che Dio possa essere messo da parte e non sentirLo come il fondamento della vita; è stato constatare che allontanarsi da Dio – come scrisse sant’Agostino – è cadere, rivolgersi invece a Lui è risorgere, rimanere in lui  è stare saldi, ritornare a Lui è rinascere, abitare in Lui è vivere (Cfr Agostino, Soliloqui 1, 1,3). E ancora: faticose navigazioni dovute agli sforzi di far crescere il dono dell’unità e della comunione nella Chiesa, vincendo resistenze e stanchezze, sterili protagonismi e accentuati individualismi. E ancora: l’amara constatazione del Seminario vuoto.

Ma in tutto questo, ferma è rimasta in me la certezza che solo la sua Parola è arma invincibile per vincere le prove: “Non temere, perché io sono con te; / non smarrirti, perché io sono il tuo Dio. / Ti rendo forte e ti vengo in aiuto / e ti sostengo con la destra della mia giustizia” (Is 41, 10; Cfr Lc 12, 32).

Il silenzio

Nel deserto regna il silenzio. C’è bisogno del silenzio: non solo adesso che la mia vita entra in una nuova fase, ma anche durante il ministero, man mano che si infittivano gli impegni e le attività. Un vescovo cosa è chiamato a fare? Predicare e pregare, come ama ripetere il Santo Padre: “Il primo compito del vescovo – disse in un’omelia a santa Marta – è stare con Gesù nella preghiera. (…) Pregare: questo è il primo compito. Il secondo compito è essere testimone, cioè predicare. (…) Due compiti non facili, ma sono propriamente questi due compiti che fanno forti le colonne della Chiesa. Se queste colonne si indeboliscono perché il vescovo non prega o prega poco, (…) la Chiesa anche si indebolisce; soffre. Il popolo di Dio soffre. (…) Per questo, io vorrei oggi invitare voi a pregare per noi vescovi. Perché anche noi siamo peccatori, (…) Anche noi corriamo il pericolo di non pregare, di fare qualcosa che non sia annunciare il Vangelo e scacciare i demoni … (…) Pregare per il vescovo con il cuore, chiedere al Signore: Signore, abbi cura del mio vescovo; abbi cura di tutti i vescovi, e mandaci i vescovi che siano veri testimoni, vescovi che preghino, e vescovi che ci aiutino, con la loro predica, a capire il Vangelo, a essere sicuri che Tu, Signore, sei vivo, sei fra noi” (Francesco, Omelia a Santa Marta, 22 gennaio 2016).

Preghiamo, perciò, per l’arcivescovo Antonio Giuseppe chiamato a reggere la Chiesa di Cesena-Sarsina. A lui rivolgo anche ora il mio saluto fraterno e assicuro la mia e la vostra preghiera. Siamo contenti di accoglierlo, fra una settimana, come colui che, mandato dal Signore, viene nel suo nome.

Al termine della prima omelia ho consegnato un opuscolo con le preghiere dei padri della Chiesa contenute nella Liturgia delle Ore; e ora, al termine, verrà consegnato un libretto con le preghiera composte in questi quattordici anni. È un regalo che vuole essere an un messaggio. Per i preti, anzitutto; ma anche per tutti. La preghiera è la forza del ministero: non altro. 

La missione

Infine il deserto è anche il luogo della missione. È il luogo dove nasce la missione; dove si prepara la missione. La missione comincia nel deserto: il deserto è la sua radice, il suo fondamento. Nazareth è stata la prima esperienza di Gesù nel deserto, il deserto della quotidianità nascosta, durata trent’anni anni, in palese sproporzione con i tre anni della predicazione. Nazareth, tempo preziosissimo di gestazione, di incubazione per una missione e una predicazione travolgente ed efficace. Anche per me la missione sempre come momento sgorgante da tanto silenzio e preghiera: ripenso ai miei primi anni di sacerdozio effervescenti, pullulanti di iniziative pastorali: con ritmo quasi frenetico, coi bambini, coi giovani, con gli operatori pastorali degli uffici di Curia. Ora da vescovo nelle due visite pastorali, nei numerosi incontri con i gruppi e i movimenti, coi i fidanzati, coi giovani, con gli anziani nelle loro case, nella parrocchia. Mi sono accorto che se non c’era il tempo del deserto non poteva esserci una fiorente ed efficace missione. Se non ci fosse stato il silenzio non ci sarebbe stata la parola;

La missione che mi attende ora non sarà più presenza, predicazione, accompagnamento, mi rimanda di nuovo al silenzio, quasi a suo compimento e completamento. È l’ultima fase della mia vita. Lunga o corta che sia, non importa. Prego che sia vera, intensa, autentica.

Concludo, chiedendo scusa della lunghezza di questa omelia; ma è l’ultima, spero di trovare la vostra comprensione. A conclusione, mi lascio guidare dal grande Mosè che guarda la terra promessa da lontano, dal monte Nebo e gli viene preannunciato che non potrà calpestarla (Cfr Dt 32, 52). Deve cedere il passo a un altro: “Arriva il momento in cui si cammina solo per far posto a qualcuno che non siamo noi. Il discernimento … apre un orizzonte che si prepara solo per altri, dopo di noi. Non capirlo significa rubare il futuro di qualcuno. Immagino Dio dire a Mosè in vista dell’orizzonte: ‘Guarda lontano, fin dove puoi, perché è la mèta del tuo cammino, e il senso della tua fedeltà; ma ricordati che tutto questo è per altri’” (Editoriale in Riv. Cl. It. 9/2024, p. 557).

Per questo voglio che il ritornello che mi accompagna d’ora innanzi, per il tempo che il Signore vorrà concedermi, sia come ai tempi dei primi cristiani: Maranatha. Vieni, Signore Gesù (Cfr 1Cor 16, 22). Ti attendo. Signore. Ho una gran voglia di vederti e insieme a te, tua Madre, la mia dolce mamma celeste, Maria, Madonna del nostro popolo, Madonna del Monte. Faccio mio il desiderio che espresse san Francesco di Sales, quando giunse anche per lui il tempo di ritirarsi: “Nutro – scrisse – il desiderio di ritirarmi, per l’inverno, nella mia piccola Annecy alla quale mi sono affezionato, perché è la barca sulla quale devo vogare, per passare da questa all’altra vita”.

Ora, da questa barca su cui sono salito quattordici anni fa, è tempo di scendere e lasciare il timone ad altri. Bisogna imparare a congedarsi, ha suggerito un giorno papa Francesco: “Imparare a congedarsi – disse -: questa è la saggezza degli anziani. Ma congedarsi bene, con il sorriso; imparare a congedarsi in società, a congedarsi con gli altri. La vita dell’anziano è un congedo, lento, lento, ma un congedo gioioso: ho vissuto la vita, ho conservato la mia fede. Questo è bello, quando un anziano può dire questo: “Ho vissuto la vita, questa è la mia famiglia; ho vissuto la vita, sono stato un peccatore ma anche ho fatto del bene”. E questa pace che viene, questo è il congedo dell’anziano (Udienza generale, 22 giugno 2022).

Grazie, carissimi fratelli e sorelle, soprattutto perché so che mi accompagnerete con la vostra preghiera.