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Daniele Severi (Apg23) ieri sera a Cesena ai seminari di studio: "La fede non va raccontata. Va vissuta. Il Vangelo non è solo Carità, ma anche giustizia"

Le serate sono proposte dalla Caritas diocesana e dall'Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro

Da sinistra, il direttore della Caritas diocesana Ivan Bartoletti Stella, Daniele Severi della Comunità papa Giovanni XXIII e Marco Castagnoli direttore dell'Ufficio diocesano della pastorale sociale

Una goccia nell’oceano? Sì, ma pur sempre importante. Come il lievito nella pasta. Non si vede, ma la fa fermentare tutta. Così può essere considerato il Villaggio della gioia nato a Forlì dieci anni fa. Uno degli ultimi sogni di don Oreste Benzi, morto due giorni prima dell’inaugurazione, come ha ricordato ieri sera in seminario, a Cesena, il responsabile, Daniele Severi, al secondo incontro dei seminari di studio promossi dalla Caritas diocesana e dall’Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro.

“Trasmettere... una fede che sa amare”, il tema trattato non seguendo le citazioni di un manuale, ma a partire dall’esperienza di tutti i giorni, quella che Daniele vive con la sua famiglia e altre due della Comunità papa Giovanni XXIII. Sei sposi e i loro 22 figli, alcuni naturali e altri accolti in affido o in adozione. Famiglie aperte, le famose case-famiglia di don Benzi, ma non solo disposte ad accettare bambini soli. Disponibili, invece, a farsi prossime a famiglie intere, perché a volte è proprio tutto il nucleo di mamme e papà con i loro figli che ha bisogno di sentire di essere voluto bene.

E da lì si può ripartire, per una vita nuova. “Sì, perché se a una persona offri la possibilità di vivere diversamente – sostiene Severi - allora può essere che cambia davvero il suo modo di vivere. La nostra prima famiglia accolta, dopo cinque anni di vita tra noi per metterci in sintonia con le nostra case sempre aperte, è stata una famiglia di zingari. Non è stato semplice neppure per noi. I nostri figli avevano non pochi timori. Eppure vi posso dire che in quattro anni non si è verificato mai un furto e oggi il papà, che aveva un lungo curriculum di precedenti, è un’altra persona. Ora ha un lavoro a tempo indeterminato e un’esistenza rinnovata”.

Col tempo, infatti – prosegue Severi – abbiamo capito che il primo bisogno di un bambino è quello di stare con la propria famiglia. Ecco perché è nato il Villaggio della gioia: tre case-famiglia della Comunità e sei appartamenti per famiglie in difficoltà. La famiglia, noi siamo convinti di questo, va salvaguardata tutta. Occorre metterla nelle condizioni di poter fare percorsi di recupero.”

Tutto parte da un lavoro su se stessi. “Prima di fare il bene occorre volersi bene, tra di noi, all’interno delle nostre case. La fede non va raccontata, ma fatta vivere. E l’amore, quello descritto da san Paolo nella prima Lettera ai Corinti (cap. 13, ndr) è un dono che va sviluppato. L’amore non ha a che fare con ciò che sento. È più grande delle emozioni. Un conto è quello che sento e un conto è quello che scelgo di fare. Nell’amore c’è un percorso di disciplina da intraprendere. È un’educazione”.

Ma qual è la misura di questo amore? “L’esempio ce lo ha fornito Gesù – dice ancora Severi -. Lui ha amato sino a dare la vita per noi, fino alla morte in croce. Oggi la Chiesa è chiamata a dare una testimonianza forte e radicale del Vangelo. Dai tempi della devozione, che ora non tengono più, dobbiamo tornare a quelli della rivoluzione (pacifica s’intende, ndr) della Buona Novella. Non solo Carità, ma anche giustizia. Quello che manca nel piatto del povero è quello che abbiamo in più nel nostro. E finché ci sarà un povero vuol dire che viviamo in una società ingiusta”.

Infine una parola sui figli. “I genitori accompagnano i loro figli – aggiunge Severi -. E sono per loro modelli da seguire. Sarebbe bene far loro toccare con mano esperienze forti e positive, come un campo con dei disabili. Oggi, se nasce un disabile è un sopravvissuto. Viviamo nel terrore della malattia e della morte. Invece la disabilità umanizza la società”.

Infine una raccomandazione: “Ci vuole congruenza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo. E, come ricordava sempre don Oreste Benzi, se vuoi essere un buon padre prima devi essere un buon marito”.

Il terzo e ultimo appuntamento del ciclo si terrà lunedì 28 ottobre, sempre in seminario a Cesena alle 21. Interverrà su “Trasmettere un fede che sa dialogare” il professor Brunetto Salvarani, docente di Teologia della missione e del dialogo.

 

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