Il vescovo alla terza catechesi d’Avvento: “Abbiate fiducia cieca in Cristo”

Monsignor Caiazzo ha commentato l'incontro di Gesù con il cieco nato: "Quanta cecità oggi nel mondo, nelle nostre comunità e nei nostri gruppi"

Il vescovo alla terza catechesi d'Avvento

L’incontro di Gesù con il cieco nato, narrato nel capitolo 9 del Vangelo secondo Giovanni, è stato alla base della terza catechesi d’Avvento del vescovo Antonio Giuseppe Caiazzo, ieri sera al santuario del Sacro Cuore di Martorano di Cesena. Ancora una volta l’appuntamento è stato molto partecipato.

Guardare non è vedere

“Gesù – ha iniziato il vescovo spiegando il brano evangelico – sta camminando insieme ai discepoli, perché non va mai in giro da solo. Gesù vede il cieco, si avvicina a lui e lo vuole guarire. Si accorge che c’è questo cieco. Stranamente i discepoli non si accorgono della sua presenza. Pur guardando, sono incapaci di vedere. A volte, nella vita, può succedere anche a noi che guardiamo ma non riusciamo a vedere in profondità, come stanno effettivamente le cose“.

Alito vitale e acqua

Di fronte al cieco, ha proseguito monsignor Caiazzo, “Gesù ha compiuto un gesto che, come viene descritto, potrebbe farci un po’ ribrezzo: ha sputato per terra, ha impastato il fango con la saliva e glielo ha messo sugli occhi. Invece, ogni gesto che Gesù compie ha un senso, un significato che ci rimanda indietro alla creazione. Quando Dio ha creato l’uomo e la donna, ha impastato dalla terra e ha dato il suo alito vitale, il ruah, lo spirito. Dio ha soffiato nelle sue narici e l’uomo si è alzato e, respirando Dio, camminava nel paradiso terrestre”. Poi l’invito di Gesù al cieco a lavarsi nella piscina di Siloe, dove si recavano i sacerdoti per il rito della Festa delle capanne, con il non vedente che va e torna che ci vede. Per il vescovo, si tratta di un richiamo al “cammino catecumenale che ognuno di noi è chiamato a compiere, perché non basta semplicemente che io abbia ricevuto il battesimo perché veda”.

Testimonianze autentiche di vita

Secondo la legge ebraica, ha ricordato il vescovo, “chi si trovava in una situazione di malformazione, compresa la cecità, significava che era il frutto di un peccato“, ma “Gesù stronca questa mentalità“, perché “attraverso la cecità di questo giovane, Dio rivela qualcosa di più grande, si serve di lui per compiere qualcosa di straordinario”. Con un esempio concreto, monsignor Caiazzo ha reso noto che “in questi giorni sto incontrando tantissime realtà di persone che vivono forme diverse di handicap. Le testimonianze più belle di vita le sto ricevendo da loro. Le testimonianze di amore alla vita, di sorriso alla vita, di gioia alla vita, le ricevo da loro”.

“Inviato”

Siloe, il ritorno al testo evangelico, significa “inviato”. “Da questo momento in poi – ha fatto notare monsignor Caiazzo – il cieco che non è più cieco e ci vede è lui stesso che è inviato. Viene interrogato continuamente e passa da una realtà all’altra, dove persone diverse per competenze, ruoli e missioni gli chiedono sempre la stessa cosa. Vorrebbero capire come sia avvenuto il miracolo, ma non riescono ad andare oltre quello che hanno nella testa. I veri ciechi sono loro che non riescono ad aprirsi alla novità del Dio che si sta manifestando“.

Il “Credo” nella vita

Il brano evangelico prosegue con Gesù che, quando apprende che il giovane guarito è stato cacciato dal tempio, gli va incontro e gli chiede se crede nel Cristo. Questi professa la sua fede. “Quante volte – si è chiesto il vescovo – durante questo anno giubilare per attraversare le Porte Sante abbiamo recitato il Credo per ottenere l’indulgenza”, per poi affermare che il Credo scaturisce “non dalle labbra, ma dalla vita e dalle scelte che sono capace di compiere”. Ci sono cristiani, ha rilevato il presule, che “si dicono tali, però non sono capaci di compiere delle scelte concrete nella vita in sintonia con il Vangelo”.

“Fiducia cieca” in Cristo

Poi l’aneddoto della conversione improvvisa di un marito, “spesso ubriaco, che picchiava la moglie”. Quella persona, ha precisato il vescovo, “anche se non conosceva i dieci comandamenti o i sette sacramenti, sapeva solo che la sua vita da quando aveva incontrato Gesù era cambiata, che prima era cieco e poi ci vedeva. La fede non è tanto conoscere dei concetti, ma aver capito che Gesù Cristo è entrato nella tua mente e nel tuo cuore”. Con un gioco di parole, monsignor Caiazzo ha parlato di “fiducia cieca”, come quella del cieco nato che “si è fidato di Gesù, anche se non lo vedeva“, per cui, “se mi fido di Dio, rimetto la mia vita nelle mani del Signore, il quale trasforma la mia esistenza e mi fa vedere quanta cecità c’è oggi nel mondo, nelle nostre comunità e nei nostri gruppi“.

Rischio di cecità nelle comunità parrocchiali

A questo proposito, il presule ha messo in guardia da un rischio che può emergere nelle parrocchie quando i parroci danno “la possibilità anche ad altri della comunità di svolgere determinati compiti”. Il rischio è di diventare “ciechi, perché pensiamo che quel ruolo che sto svolgendo all’interno della parrocchia è mio e nessuno me lo deve toccare, come quando, una volta, si metteva il nome anche sul banco in chiesa“. Il rischio della “ministerialità” e del “si è sempre fatto così”, ha proseguito, non fa accogliere “la novità nel servire la Chiesa e la capacità di gioire perché anche altri fratelli possano farlo”. Questo ci insegna che la fede “non si può fermare ai compiti svolti all’interno della comunità parrocchiale“, ma è un “cammino” di fiducia nel Signore: “Se mi fido di Dio allora continuerò a vederci e mi sentirò inviato, perché, alla fine, quel giovane che era cieco ha seguito Gesù ed è stato lui il primo inviato da Cristo”. Da qui l’augurio che “anche noi possiamo tornare a vedere” e che “ognuno di noi possa essere irradiazione della luce di Gesù Cristo”.

“Pregare per Papa, vescovo e parroco”

Al termine della catechesi, monsignor Caiazzo ha inviato a “dire ogni giorno un’Ave Maria per il vostro vescovo, una per il vostro parroco e il viceparroco e una per il Papa“. Poi l’invito all’ultima catechesi d’avvento, lunedì 22 dicembre alle 20,30, con l’annuncio di un momento di “tipica convivialità romagnola” a fine serata. Non è mancato infine l’invito a partecipare al “ponte di solidarietà per i nostri fratelli ucraini”, che si è creato “tra la città dove ero prima, Matera, e Cesena”, con una raccolta di beni di prima necessità in tutte le parrocchie, a cura della Caritas diocesana (vedi notizia al link sotto).