Cesenatico
In ricordo di Stefano Simoncelli, quando la poesia arriva prima della scienza
Il critico letterario Gianfranco Lauretano ricorda un viaggio con il poeta cesenaticense e i suoi discorsi sul "peso dell'anima"
Due o tre anni fa sono andato con Stefano Simoncelli (1950-2025) a Tredozio, a un festival di poesia. Siccome leggevamo nello stesso momento, mi ha chiesto un passaggio in auto. Mai come durante quel viaggio mi aveva parlato di sé, della sua vita, dei suoi incontri, dei suoi amori, di suo padre. E della morte.
Il peso dell’anima
A un certo punto mi disse che l’anima pesa 21 grammi. Era stato scientificamente provato, a sentir lui. Certi scienziati avevano pesato i moribondi prima e dopo il trapasso, provando che al momento della morte perdiamo 21 grammi e deducendo che quella è l’anima che se ne va dal corpo. Mi sa che ho sghignazzato, perché lui serio e brusco come spesso era mi ha detto: che cosa ridi, non sei tu che credi nella resurrezione Insomma mi ha rivelato che credeva nell’anima, in qualcosa di noi che è immortale (“un qualcosa c’è…”) e che sperava di incontrare così le persone amate nella sua vita, fossero i familiari, gli amici o i grandi poeti che aveva conosciuto fin da giovane.
L’epoca d’oro delle riviste letterarie
Nato nel 1950, aveva fondato e curato a Cesenatico, assieme a Ferruccio Benzoni, Walter Valeri e Alessandro Casagrande, una rivista letteraria che si chiamava “Sul Porto” durata dieci anni, dal 1973 al 1983, epoca d’oro delle riviste letterarie: erano strumento per far conoscere la poesia dei giovani e incontrare i maestri. E infatti Stefano Simoncelli ha incontrato Franco Fortini, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Giudici, Giovanni Raboni, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni e colui che riteneva il più grande, Vittorio Sereni. Insomma il fior fiore della poesia italiana del secondo Novecento.
Il poeta del ricordo
Un’antologia di poesie del gruppo cesenaticense fu accolta dalla prestigiosa casa editrice Guanda, mentre l’esordio in singolo è del 1989; poi per quindici anni più niente. Quando nel 2000 perse la mamma, la sorgente della poesia riprese a zampillare e non si fermò più, a partire dal primo libro della nuova, feconda stagione, uscito nel 2004, fino a toccare quasi le venti pubblicazioni, comprese le traduzioni in lingue straniere. Il tema principale della poesia di Stefano Simoncelli è il ricordo, il tempo che fugge via, il dialogo con le persone care che riappaiono in visione o in sogno. Le sue grandi ballate, che hanno spesso l’andamento dell’elegia, preferiscono le atmosfere notturne, i chiaroscuri, i punti di passaggio, e sono prevalentemente d’amore: amore dolente, nostalgico, che si rinnova a ogni pensiero e a ogni ricordo. La poesia è per questo nostro poeta (nostro davvero, come se fosse uno di noi, di casa) il bastione che si erge contro il tempo che passa e contro la morte. È il canto, è la poesia che permette di intravedere, nella nebbia notturna del mondo, lo spiraglio, forse la crepa di luce che ci immette alla presenza delle anime amate, nelle quali la nostra si può rispecchiare.
Il poeta arriva prima della scienza
Quella sera di qualche anno fa, tornato a casa, sono andato a controllare la faccenda dei 21 grammi. In effetti, all’inizio del Novecento, un medico americano, provò il bislacco esperimento di pesatura dei moribondi, deducendone il peso dell’anima. La comunità scientifica non riconosce l’esperimento, rubricandolo come una stramberia senza fondamento oggettivo. Ma ha ragione il poeta Simoncelli: ora che non c’è più, l’assenza della sua anima pesa, non solo grammi, pesa come un macigno. D’altronde Rimbaud l’aveva detto: la scienza è troppo lenta per me. Il poeta arriva prima, capisce meglio e più in profondità quello che la scienza riuscirà a provare dopo secoli.
Ciao anima leggera di Simoncelli. Grazie per la tua poesia, che oppone alla morte la dolorosa levità del tuo canto.