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"Per tanti nostri figli i cellulari come protesi"

Come stanno i giovani dopo il Covid? Parla Michele Sanza, direttore del Dipartimento di salute mentale e dipendenze patologiche di Forlì-Cesena

(foto archivio)

Mel mondo, e anche nel nostro Paese, l’emergenza sanitaria da Coronavirus è ormai un ricordo. In questo tempo non si è fermato l’incremento di problematiche di salute mentale nei giovani tra i 14 e i 25 anni. Lo confermano, per esempio, gli accessi ai servizi di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale “Bufalini” di Cesena che avevano subìto una rapida accelerazione dopo il lockdown, mantenuta anche nel 2023 e nel 2024. I dati parlano di un +30 per cento. Sono domande di cura per disturbi del comportamento alimentare, autolesionismo, ansia, depressione, ritiro sociale. Un incremento, conferma il direttore del Dipartimento di salute mentale e dipendenze patologiche di Forlì–Cesena, il dottor Michele Sanza, già presente e che il lockdown ha amplificato. E ancora non si ferma.

Dottor Sanza, quali sono le cause di tanto malessere?
Sono quelle legate a fattori ambientali e sociali e a fattori biologici. I ragazzi riducono la quantità di sonno, già dalle scuole medie. La mancanza di sonno è direttamente proporzionale al benessere mentale, perché incrementa ansia, disregolazione emotiva, disturbi di memoria. Effetti simili sono prodotti da sostanze come la nicotina e l’alcol, di certo legali, ma che producono un aumento della disforia e incidono sulla concentrazione. In poche parole, influiscono in maniera negativa sul benessere del cervello.
Poi ci sono fattori sociali qiali l’incertezza del futuro, una società competitiva che impone modelli di comportamento e aspetto fisico di difficile raggiungimento. I giovani sono costretti a confrontarsi con modelli che spesso li isolano e lo schiacciano. E poi i fattori relazionali legati alla famiglia. Assistiamo alla riduzione dei legami, famiglie disperse e meno strutturate, a distanze geografiche importanti, stili di vita cambiati, che incidono sulla compattezza dei nuclei familiari. Questo priva i giovani di punti di riferimento stabili per la loro crescita emotiva e affettiva.

Qual è il bisogno più grande dei genitori per far fronte a questo contesto?
Per primo quello di potersi confrontare e di non sentirsi soli nell’affrontare tematiche sul rapporto genitori-figli. Secondo: essere informati, ricevere nozioni e informazioni su base scientifica che completino il loro assetto, che li aiutino nel dare risposte e compiere scelte adeguate nei confronti dei propri ragazzi.

Stiamo parlando di ragazzi grandi, adolescenti. Un genitore ha ancora margine di intervento?
Sì. C’è sempre spazio per cambiare e migliorare. C’è sempre la possibilità della resilienza. Dobbiamo ricordare che per gli adulti, e per i genitori, il disagio più grande nasce da un cambiamento che non è incrementale, ma rivoluzionario. Mi riferisco al passaggio al digitale. I boomers sono passati dal telefono fisso al cellulare, un cambio già importante, ma assimilato. Ma dal telefono cellulare allo smartphone il cambiamento è stato rivoluzionario, e questo ha impedito l’adattamento. La nostra adolescenza non ha nulla a che vedere con quella che stanno vivendo oggi i giovani. Noi abbiamo vissuto una trasformazione. Lo smartphone resta uno strumento, per i nostri figli sono protesi, parti del corpo.

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