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Promesse e impegni della politica italiana ai tempi del Mes

L'Italia, l'Europa e le prossime scadenze elettorali. Tattiche, sgambetti e promesse in vista delle urne

Nella foto d'archivio, palazzo Chigi, sede del governo italiano

È di questi giorni la bocciatura da parte del Palamento della ratifica del trattato sul Mes (Meccanismo europeo di stabilità). Il ministro dell’Economia Giorgetti dopo mesi di trattative ha ammesso che, se fosse stato per lui, l’avrebbe approvato (ci mancherebbe altro, era lui in riunione a Bruxelles in quest’ultimo anno…) ma ha dichiarato che «non tirava aria» … che equivale un po' a darsi una zappata sui piedi all’interno del proprio giardino e poi prendersela con il vicino di casa.

Che cos’è il Mes? La sua funzione fondamentale è quella di concedere, sotto precise condizioni, assistenza finanziaria ai Paesi membri che, pur avendo un debito pubblico sostenibile, trovino temporanee difficoltà nel finanziarsi sul mercato. Il Mes ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi, di cui 80,5 sono stati versati (i restanti 620 miliardi possono essere raccolti sui mercati finanziari attraverso l’emissione di bond). La sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi. L’Italia ha sottoscritto il capitale del Mes per 125,3 miliardi, versandone oltre 14. I prestiti non vengono concessi senza condizione, in genere vengono richieste riforme specifiche, mirate a eliminare o quantomeno mitigare l'effetto dei punti deboli dell'economia del Paese richiedente. Il Mes prevede in particolare interventi in tre aree: consolidamento fiscale, con tagli alla spesa pubblica per ridurre i costi della Pubblica amministrazione e migliorarne l’efficienza, riforme strutturali (con l’adozione di misure di stimolo alla crescita, alla creazione di posti di lavoro e alla competitività) e riforme del settore finanziario (con misure destinate a rafforzare la vigilanza bancaria o, se necessario, a ricapitalizzare le banche). I diritti di voto dei membri del Consiglio sono proporzionali al capitale sottoscritto dai rispettivi paesi. Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15 per cento e possono porre il loro veto anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza. L’Italia ha già aderito al Mes nel 2012. Quest’ultima di cui tanto si parla sarebbe la ratifica rispetto alle modifiche intervenute nel 2019 e rivolte in particolare al sistema bancario. La ratifica dell’Accordo non equivale alla sua attivazione. È uno strumento che un Paese può decidere se utilizzare o meno in caso di difficoltà.

Lascia di certo perplessi il mancato rispetto della continuità d’intenti in Europa rispetto al percorso fatto dall’Italia in questi ultimi anni. Si sarebbe potuto esplicitare questa scelta molto prima, spiegando un po' meglio agli italiani quale sarebbe l’alternativa a questi strumenti nati per tutelare il sistema finanziario del Paese. che prevede l’implementazione di un meccanismo “salva-banche” europeo per completare il quadro delle regole di unione bancaria, in cui sono inserite anche i nostri istituti di credito, in competizione con gli altri partner europei.

Se la nostra economia rallentasse più del previsto, mandando in sofferenza i saldi pubblici e il sistema bancario, la mancanza del Mes ci esporrebbe ad attacchi speculativi finanziari o abbiamo un piano B che non è stato spiegato chiaramente? Ci faremo restituire i 14 miliardi versati all’Unione europea? Per decidere quali politiche finanziarie? Un nuovo voto italiano sul Mes potrà avvenire, da regolamento parlamentare, solo dopo sei mesi dal voto precedente, dopo il voto delle europee. Semplice coincidenza o voglia di tenersi le “mani libere” in campagna elettorale? Oltre a Lega e Fratelli d’Italia, che hanno votato contro il proprio ministro in Parlamento, si sono uniti i rappresentanti del Movimento 5 stelle, nonostante Giuseppe Conte sottoscrisse in prima battuta il Trattato come presidente del Consiglio nel 2021.

I prossimi mesi ci diranno se siamo di fronte a un piccolo sgarro istituzionale motivato dal posizionamento elettorale di breve periodo o se piuttosto abbiamo deciso di cambiare in modo radicale le negoziazioni fatte in sede europea (per un trattato dove siamo gli unici su 20 a non volerlo più) per fare scelte diverse in campo finanziario e bancario a tutela del nostro Paese.

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