Editoriale
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Il dna dell’amore

Ad amare si apprende dapprima in famiglia, dove spesso non servono parole, ma occorre riconoscere che tante famiglie sono investite da profonde crisi

Il dna dell’amore

Analfabetismo affettivo. Lo vediamo nei nostri ragazzi. Sempre di più. Non con l’attenzione che meriterebbe. L’immaturità, anche relazionale, è la cifra di chi cresce.

Ma c’è qualcosa di più, di diverso, di inquietante in certe relazioni, non solo tra giovani e giovanissimi. È un’aria che sentiamo sempre più densa. Il cardinale Ersilio Tonini metteva in guardia sulla scienza e i suoi limiti. Papa Francesco parla del dominio delle tecnoscienze. Difficile dare delle definizioni. E altrettanto difficile è tracciare legami di causa-effetto con tragedie come quella che ha ucciso Giulia Cecchettin, la giovane veneta accoltellata a morte dal suo ex.

Impossibile entrare nella mente di chi uccide, di chi sceglie il male e recide per sempre una vita.

È vero che i progressi della scienza e della tecnica, come aveva previsto con lucidità Tonini, hanno dato all’uomo la sensazione di poter fare di tutto, al di sopra e oltre il suo stesso corpo. E, cosa ancor più grave, al di sopra di quello degli altri. Può essere la radice dei femminicidi.

L’altro come oggetto. Da comandare, in quel videogioco egocentrico che rischia di diventare la vita. Quando i personaggi del video-gioco non stanno al gioco, cioè non fanno quel che programmo, tutto va in tilt, il mondo crolla di fronte alla constatazione che non sono io il dio della vita, né mia né tanto meno degli altri. Non è un destino, però, perché Dio ci ha creati liberi. E la libertà è il dna dell’amore, quello vero. Come ha scritto Marco Erba, il 21 novembre, su Avvenire «il criterio supremo dell’amore è la libertà».

Occorre insegnare questo ai nostri ragazzi: un amore oltre sé stessi, che lascia andare, capace di mettere a fuoco il bene dell’altro. E anche di restare accanto, di fronte all’abominio, all’errore più grande, al peccato, come il padre di Filippo Turetta, l’assassino di Giulia, ha detto di voler fare. Molti invocano una nuova educazione affettiva a partire dalla scuola. Trovo che alla scuola non si possa delegare tutto.

Ad amare si apprende dapprima in famiglia, dove spesso non servono parole, ma occorre riconoscere che tante famiglie sono investite da profonde crisi. Perché non scendere in campo come Chiesa? Le nostre comunità sono sempre state scuole di relazioni, di dono, di fraternità. Su questi temi abbiamo molto da testimoniare. È sempre più urgente farlo.

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