Editoriale
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Luci non luminarie

In questo inizio d’Avvento, sento la necessità di esercitare lo sguardo. Alla ricerca, in questa realtà tutt’altro che luminosa, di quella luce che non si vede. E invece c’è e non si spegne dopo Natale come le luminarie delle nostre città

Luci non luminarie

Ci risiamo. I contagi che salgono, gli ospedali si affollano. I numeri, è vero, sono diversi dall’anno scorso, grazie alle vaccinazioni. Ma la quarta ondata è iniziata: ci sono amici in quarantena con sintomi e riaffiora il ricordo di tante morti in solitudine si fa assillante.

La scoperta di una nuova variante ci ricorda che fino a quando non daremo a tutti la possibilità di vaccinarsi, come ripete papa Francesco, non ne usciremo. Fino a qui la cronaca, che da cristiani possiamo e vogliamo leggere in modo diverso.

Anche la liturgia, in queste settimana, ha toni apocalittici: ci parla di una fine. O meglio, di un fine. Perché la prospettiva è tutt’altro che drammatica: si parla di luce,
risveglio, presa di coscienza. Un richiamo a guardare in faccia la realtà, con occhi nuovi, non certo ad aspettare quei tempi “ultimi”.

A ben vedere è anche la strada che la Chiesa ha deciso di imboccare. Di fronte al senso di disorientamento che si respira nelle nostre chiese, al calo di partecipazione alla Messa, alla diminuzione delle vocazioni (iniziato ben prima del Covid), e a divisioni che lasciano il segno nelle comunità, si è deciso, sotto l’impulso di papa Francesco, di avviare un progetto ampio di ascolto come il sinodo.

I frutti non sta a noi giudicarli, forse non saranno quelli che ci aspettiamo. Ma già questo clima ha prodotto una serie di riflessioni interessanti: per citarne uno “La Chiesa brucia” di Andrea Riccardi.

Ma ancor prima del confronto, in questo inizio d’Avvento, sento la necessità di esercitare lo sguardo. Alla ricerca, in questa realtà tutt’altro che luminosa, di quella luce che non si vede. E invece c’è e non si spegne dopo Natale come le luminarie delle nostre città.

«Quella certezza che nel caos della storia e nelle tempeste della vita, il vento di Dio è stabile sopra la mia piccola barca», diceva Ermes Maria Ronchi nel commento al Vangelo di domenica scorsa. Quello sguardo che Ronchi dice essere «delle donne» che «sanno cosa significhi» avere gli occhi già dentro il futuro”.

Si chiama speranza e si traduce in piccole cose: per alcuni può essere un gesto di carità, per altri può essere un whatsapp inviato a chi è isolato per il virus. Un po’ di umanità in un tempo troppo freddo, una candela accesa per una preghiera in famiglia.

Ognuno guardi con intensità quel germe che c’è e germoglia anche in pieno inverno. Non luminaria natalizia, ma luce vera. Da coltivare.

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