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Tragedia

Nemmeno indignati

Sul naufragio in Grecia la conta dei morti non è ancora definitiva. Si parla di almeno 600-700 persone disperse, ormai tutte morte

Nemmeno indignati

«E sembra che il mare fosse calmo». L’ha detto domenica scorsa papa Francesco all’Angelus . Il Pontefice ha parlato di «gravissimo naufragio avvenuto al largo delle coste della Grecia». La conta dei morti non è ancora definitiva. Si parla di almeno 600-700 persone disperse, ormai tutte morte.

Pare siano oltre 100 i bambini.

Un’altra tragedia si è consumata nel mare Mediterraneo. Davanti ai Paesi della nostra Europa. Con i sofisticati mezzi a disposizione, non c’è imbarcazione che non sia avvistata, riconosciuta e seguita. Altre versioni sono difficili da accampare. Poi c’è sempre il caso di chi, come Pilato, preferisce voltare lo sguardo da un’altra parte e fare finta che quella realtà scomodissima non esista.

Adesso non siamo neppure più capaci di indignarci. Ci fu il naufragio davanti all’isola di Lampedusa, il 3 ottobre 2013, con 368 morti e con il seguito dei non deve accadere mai più.

Ci fu nel 2015 la vicenda del piccolo Aylan, profugo siriano trovato morto su una spiaggia turca. Sdegno globale anche in quell’occasione. Basta tragedie di questo tipo, si diceva. Chi scappa dalla sua terra perché la sua terra è diventata inospitale ha il diritto di essere accolto. Chi su quest’altra sponda non si degna di allungare una mano per salvare vite umane si rende responsabile di un atto vile, il mancato soccorso. Di recente si è verificato l’episodio dei morti a poco più di cento metri dalla spiaggia di Cutro, in Calabria. A casa nostra. E forse lì ci ha fatto ancora più male. Ma la vita va avanti e anche ai morti, ai tanti morti causati dal nostro scarso aiuto, si fa l’abitudine. È così che l’immenso disastro con i 700 e forse più affogati nel mare della Grecia rischia di passare subito nell’archivio della nostra memoria, senza che noi siamo capaci di comprendere quanto è accaduto. Come se i file del nostro cervello e del nostro cuore fossero pieni, dopo gli anni difficili della pandemia, i terremoti e le alluvioni.

Come se avessero esaurito le scorte dell’indignazione, del dolore e della solidarietà. Dell’essere fratelli, tra uomini e donne e bambini. Fratelli tutti, e sempre. Una dimenticanza che bussa, e anche urla e reclama e implora, alle porte della nostra umanità. Questo dimenticare ci preoccupa, ha scritto Marina Corradi su Avvenire di sabato scorso, «ma nella mia casa in pace, preme stasera contro i vetri delle finestre. Non è il vento. Queste morti noi le tolleriamo e taciamo. Non è il vento: è un balbettio della coscienza». Se un briciolo di coscienza ci è rimasta.

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