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«Tutti a terra». Appiattimento mentale

Appunti a margine dell’intervista a Olivier Roy il sociologo francese protagonista al Meeting

Foto ufficio stampa Meeting

Il viso bonaccione e il largo sorriso del professore creano un singolare contrasto con il drammatico resoconto che si accinge a narrare sulla società, soprattutto americana.

Ho incontrato Olivier Roy, sociologo francese e docente di Scienze Politiche all’Istituto Universitario europeo di Fiesole, al Meeting di Rimini a un incontro che aveva al centro il tema del suo ultimo libro non ancora in Italia L’appiattimento del mondo: la crisi della cultura e l’impero delle norme.

Ricordo, tra le sue opere di alcuni anni fa La santa Ignoranza, le cui prime tre pagine sono un capolavoro narrativo da mettere in cornice nelle sedi scout, di quando trascrive la sua fanciullezza nell'associazione.

“Questo mito anima i fondamentalismi moderni – si legge nella presentazione editoriale - in concorrenza tra loro su un mercato delle religioni che acuisce le loro divergenze e contemporaneamente standardizza le loro pratiche”. Unita alla paura, è la tesi del professore, l’ignoranza genera il bigotto, il fondamentalista, l'arrogante. Ora il mondo, per Roy, è invece caratterizzato dall’ “appiattimento”: oggi non ci sono guerre tra culture, perché è in crisi lo stesso concetto di cultura.

Le prime vittime nel web sono il linguaggio e nientemeno che il comportamento, sottoposti a rigorose codificazioni e norme.

Attraverso l'uso di “emoji”, le faccine, non esprimiamo più le complessità o profondità dei sentimenti, ma tutto si riduce a un semplificato “appiattimento”, appunto.

Si perde la trama variegata della comunicazione, il non detto, il sottinteso, l'implicito, perfino le battute devono essere minuziosamente spiegate.

Rendere trasparente il linguaggio porta all'immediato, al piatto, al prevedibile.

Spariscono le lingue complesse: la stessa lingua inglese, predominante nel mondo, è chiamata globish, perché ogni nazione la usa senza il sottofondo culturale, proprio di un popolo.

Il mistero della persona esige rispetto e attenzione. Invece, la trasparenza del linguaggio impoverisce la relazione e non rende ragione dell'interiorità, del cosiddetto inconscio: concetto oggi rifiutato o altrimenti chiamato, come misteriosa radice fondativa, peccato originale.

Il riscatto dalle colpe non avviene più con il rito cristiano del sacramento della confessione, ma con il rito dell’esibizione televisiva e mediatica.

Nel comportamento ogni movimento viene codificato, sottoposto a restrizioni. Si ritiene così, in modo banale, di far scomparire ogni forma di violenza che, invece, se repressa, riaffiora in forme inaspettate.

La cosiddetta cancel culture non serve solo a rettificare la validità storica, ma ad “addolcire” i dolorosi drammi del passato e del presente. Persino i video devono segnalare con una scritta se appariranno temi di “turbamento”.

Per quanto riguarda la costruzione e lo svelamento della propria identità, nascono nei media diverse communities legate a condivisi interessi politici, ludici, sportivi e così via. Questo comporta la selezione, la chiusura, il rifiuto del diverso.

Nell'imperante relativismo e nelle società fluide, così definite da Zygmund Bauman, l'arte delle decorazioni “indelebili” della pelle, come i tatuaggi, sono diventati un punto fermo, definitivo. Per il sociologo, al di là del fattore estetico, rendono evidente anche un “bloccare” la vita, un tentativo di fermare il tempo che scorre, non aprirsi al futuro, non far fiorire speranze magari.

Un tentativo, chissà, rimanere giovani, o giovanili.

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