Approcci nuovi tra il dilagare dell’arroganza
Se volgiamo lo sguardo alla pubblica arena dei media, si ha l'impressione che l’arroganza non evochi più un sentimento di vergogna o che rappresenti una caratteristica distintiva di alcuni individui
Perché scrivere dell'arroganza? Se volgiamo lo sguardo alla pubblica arena dei media, si ha l'impressione che l’arroganza non evochi più un sentimento di vergogna o che rappresenti una caratteristica distintiva di alcuni individui. Appare un comportamento ampiamente diffuso, un modello che sembra addirittura essere considerato meritevole di imitazione. Gentilezza, rispetto, ascolto, moderazione e ospitalità appaiono al contrario desueti. È difficile parlare dell'arroganza senza incorrere in giudizi, moralismi o toni pedagogici.
Così facendo, però, ci condanniamo a non capire. Dietro a questo comportamento si cela spesso una paura profonda, la paura di non sentirsi visti, riconosciuti o di non esistere per gli altri. Quando si comprende questa dinamica, siamo più propensi a non lasciarci spaventare, ci predisponiamo all’empatia verso la sofferenza nascosta nell'altro e a trovare modi per mitigare l'arroganza che pervade la cultura attuale attraverso un'educazione alla gentilezza e all'accoglienza.
Un approccio che richiama la prospettiva di 'promozione dell'umano' del filosofo François Jullien (2013), il quale identifica nelle relazioni fondate sull’intimità l’opportunità di sviluppare una nuova morale incentrata sulla condivisione. Questa non si configura più come una morale punitiva, negativa o prescrittiva, ma si radica nell'intricato intreccio tra soggetto e oggetto che caratterizza la relazione intima.
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