Commento al Vangelo
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Il giorno del Signore

Domenica 19 novembre - San Fausto - Anno A

I DONI DI DIO ELARGITI A TUTTI SEMI DA PIANTARE E COLTIVARE

Pr 31,10-13.19-20.30-31; Salmo 127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30

La liturgia della Parola ci sollecita all’attesa del Signore che verrà, vegliando e operando il bene. La parabola dei talenti ci mette davanti alle nostre responsabilità.

La scena si svolge in due tempi, quello della consegna dei talenti ai servi e quello della “regola dei conti” al ritorno del padrone. L’esito del racconto è sorprendente e premia la diversa intraprendenza dei servi. I primi due servi si sono impegnati a far fruttificare quanto ricevuto e sono stati chiamati “a prendere parte alla gioia del loro padrone”. Il terzo servo, malvagio e pigro, ha nascosto il suo talento sotto terra: riceve un rimprovero dal suo padrone che gli toglie il talento e “lo getta fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

La parabola ci spinge anzitutto all’accoglienza operosa dei talenti. Un dono immenso, sovrabbondante, il tesoro della grazia di Dio e dei suoi doni innumerevoli e immeritati. Poi all’impegno a farli fruttificare: «Il talento diventa l’unità di misura di un’autentica religiosità. Essa non si accontenta di considerare la grazia e tutti i doni divini come un freddo possesso, ma come un impegno esigente e caloroso» (Ravasi).

La prima lettura ci offre l’esempio di una donna ideale, che sa amministrare bene i talenti ricevuti dal Signore. Non spreca il suo tempo in vanità. Per questo “in lei confida il cuore del marito, perché ella gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita”. Non si accontenta di lavorare per sé e la sua famiglia, ma “apre le sue mani al misero e stende la mano al povero”. Al lavoro operoso e casalingo, alla carità sociale aggiunge infine “il timore del Signore”. “Qui sta il suo fascino vero e la sua bellezza duratura. Il talento diventa il simbolo della grazia e della fede, cioè dell’azione divina e della risposta umana; è la pietra di paragone di una genuina religiosità che coinvolge tutto l’essere dell’uomo, nel suo dialogo con il Signore, che lo chiama a partecipare alla costruzione del Regno.

Dobbiamo anche aggiungere che la parabola ci fa pensare al giudizio divino dove i giusti, coloro che hanno fatto fruttificare i talenti, entreranno nella gioia del loro Signore, mentre i servi pigri e superficiali saranno scaraventati “nelle tenebre, dove c’è pianto e stridore di denti”.

Come i primi due servi, anche noi siamo chiamati a non considerare mai i doni di Dio (i talenti), come pietre preziose, ma come semi da piantare e coltivare, perché diventino spiga o albero.

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