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emergenza sanitaria e lavoro

Coronavirus. Come dirigere uno stabilimento in Malesia dall'ufficio di casa. "La sveglia al mattino suona alle 5", dice Dario Bianconi

“Da 13 anni a questa parte – racconta l’ingegner cesenate Dario Bianconi – non ero mai stato quattro settimane di seguito nello stesso posto come mi sta capitando ora. Dall’Italia dovremmo spedire un pacco urgente, ma ci sono pochissimi collegamenti aerei. Chi potrebbe lavorare, come noi, ha grandi difficoltà”

L'ufficio allestito a casa dall'ingegnere cesenate Dario Bianconi

Prima del Coronavirus faceva il pendolare tra Cesena e la Malesia. Una vita per i più impossibile, alla quale ci si può fare anche l'abitudine. “Da 13 anni a questa parte – racconta il 47enne ingegnere cesenate Dario Bianconi (è il fratello della senatrice Laura. Daniele, il terzo fratello, quello di mezzo per età, è ufficiale dell'Aeronautica militare) – non ero mai stato quattro settimane di seguito nello stesso posto come mi sta capitando ora". In terra d’Asia dirige uno stabilimento del gruppo Unigrà di Conselice (Ravenna). Sono 110 le persone che a lui riferiscono. Le specialità dell'azienda in Asia sono il cioccolato, la margarina e tutti i prodotti Uht, come ad esempio la panna da cucina e quella per dolci.

Là il lockdown è stato dichiarato – aggiunge il direttore che da anni tiene una simpatica corrispondenza con un gruppo d'amici dall'eloquente titolo "panda romagnolo" – solo due settimane fa. Ed è entrato in vigore subito pesantemente. Il governo ha fornito una lista di attività produttive da chiudere subito. Ad altre è stato concesso di continuare, ma è stata imposta la riduzione del personale del 50 per cento. E poi, poco dopo, in due sole ore di tempo, abbiamo dovuto ridurre fino al 30 per cento. Del restante 70 per cento della forza lavoro, chi può è in smart working. Gli operai evidentemente no”.

Ma come si fa a dirigere un’azienda a miglia di chilometri di distanza? “Mi sveglio tutte le mattine tra le 5 e le 5,30, visto che la Malesia è sei ore avanti – dice ancora Bianconi -. Mi collego con l’ufficio e ci aggiorniamo via Skype. Il lavoro procede, ma con molti rallentamenti. In questa situazione di emergenza tendo a fare riunioni brevi, con poche persone e più frequenti. Se prima assegnavo compiti per una settimana, adesso li assegno per un giorno solo”.

“Una parte del mio lavoro è del tutto cambiata. La lontananza non è compensata dalle dirette in streaming. Un conto è essere sul luogo. Un altro è seguire dall’Italia. Al momento non è immaginabile pensare di poter partire per la Malesia. Se arrivassi là mi metterebbero subito in quarantena. E lo stesso succederebbe ai nostri sette colleghi italiani presenti nello stabilimento in queste settimane. Se tornassero andrebbero subito in quarantena”.

La preoccupazione per loro è grande, in chi ha la responsabilità del loro lavoro e della loro sicurezza, anche sanitaria. In Malesia vengono fatti pochi tamponi e lo Stato ha deciso di fare intervenire l’esercito perchè la gente non rispettava i divieti. La spesa a casa viene consegnata dopo dieci giorni e lì quasi nessuno è abituato a fare di cucina. “I nostri colleghi italiani sono lontani da casa – aggiunge Bianconi – con i figli e i genitori qua. Vorremmo poter fare di più per loro. E capisco anche le loro preoccupazioni. Là la sanità non è come quella italiana. Abbiamo stipulato per tutti una nuova copertura assicurativa che copre anche il caso Covid-19. Però si è sempre in un altro Paese”.

Anche la sicurezza dal punto di vista dell’ordine pubblico è diminuita. “Abbiamo in Malesia una signora di 48 anni – dice ancora il direttore -. Non viene mai lasciata da sola, anche per recarsi al lavoro. Tutta la situazione, al momento, è molto delicata e cambia di continuo. Noi esportiamo gran parte delle nostre produzioni in Asia, ma adesso molti uffici pubblici sono chiusi e per ottenere certificati di origine o sanitari ci vogliono anche due settimane. Prima si ottenevano in tre-quattro giorni”.

Tutto il contorno ora si è complicato, aggiunge l’ingegnere. “I produttori di cartone sono chiusi e noi non riusciamo a rifornirci di quello che ci serve per fare le spedizioni. Dall’Italia dovremmo spedire un pacco urgente, ma ci sono pochissimi collegamenti aerei. Ci vorranno almeno un paio di settimane. Anche i container non si trovano. Chi potrebbe lavorare, come noi, ha grandi difficoltà. Speriamo che il vento cambi presto”.

Qui sotto, una foto inviataci da Bianconi. Un aeroporto internazionale al tempo del Coronavirus

aeroporto malesia.con covid.19
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