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Conflitto dimenticato

Yemen: il racconto di una operatrice di Save the children, “scene strazianti e apocalittiche”

A tre anni dall’inizio della guerra civile tra le truppe governative appoggiate dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita e i ribelli sciiti della tribù houthi, Maria Rita Ceccaroni, operatrice di Save the children, racconta cosa ha visto nello Yemen. Il conflitto è oggi una delle più gravi emergenze umanitarie del mondo, con 22 milioni di persone bisognose di aiuti. Nella totale indifferenza dei media mainstream e dell’opinione pubblica internazionale

Foto: Mohammed Awadh per Save the Children

“Le scene più strazianti che ho visto sono i bambini denutriti devastati dal colera”. Maria Rita Ceccaroni, operatrice umanitaria di Save the children, ha ancora negli occhi e nel cuore immagini terribili. Ha trascorso sei mesi nello Yemen ed è tornata da poco. “Per salvarli basterebbero sali minerali idratanti e cibo altamente proteico – racconta – ma in questa guerra così disastrosa è difficilissimo portare aiuti umanitari, soprattutto nelle zone più remote”. A tre anni dall’inizio del conflitto tra le truppe governative appoggiate dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita e i ribelli sciiti della tribù houthi sostenuti dall’Iran, Ceccaroni descrive una situazione “apocalittica”, “a volte infernale”, completamente creata dall’azione umana e resa ancora più drammatica dalla totale dimenticanza da parte dei media mainstream e dell’opinione pubblica internazionale. Inoltre c’è una grossa parte di responsabilità di alcuni Paesi occidentali, Italia compresa, nella vendita di armi. Dall’Italia continuano infatti a partire verso l’Arabia Saudita – come documentato da diverse organizzazioni – bombe prodotte nello stabilimento della Rwm Italia Spa (controllata da un gruppo industriale tedesco) di Domusnovas, in Sardegna.

Cifre enormi che dovrebbero suscitare indignazione. Sembra assurdo che le cifre diffuse continuamente dalle organizzazioni internazionali non suscitino un’ondata di indignazione mondiale: i dati forniti nel febbraio 2018 dall’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite indicano almeno 5.974 civili uccisi (tra cui migliaia di bambini) e altri 9.493 feriti.

Secondo Save the children 5 bambini al giorno vengono feriti o uccisi. Oltre 22 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.

Un milione di persone hanno contratto il colera e di recente si è diffusa anche la difterite. Due milioni sono gli sfollati interni, 1,9 milioni di bambini non possono andare più a scuola perché gli edifici scolastici sono stati distrutti. Per loro aumenta, di conseguenza, il rischio di reclutamento forzato nei gruppi armati o, per le bambine, di venire destinate a matrimoni precoci. Oltre 15.000 gli attacchi aerei registrati dall’avvio delle ostilità. Anche gli ospedali vengono bombardati.

Conseguenze “disastrose” per la popolazione. “È una guerra civile con dinamiche simili a quella della Siria: le potenze internazionali combattono per il controllo del territorio – spiega Ceccaroni – . Gli interessi geopolitici ed economici in ballo sono molto grandi ma le conseguenze sul campo sono disastrose”. Save the children, l’organizzazione che dal 1919 opera a tutela dell’infanzia in tutto il mondo, è presente nello Yemen da una trentina d’anni. Prima operava per lo sviluppo del Paese; da tre anni ha dovuto concentrare il proprio lavoro sull’emergenza derivante dal conflitto, tramite staff locali presenti in tutto il territorio: distribuzione di alimenti altamente nutritivi, acqua e servizi igienici, cure sanitarie, assistenza a mamme e bambini.

Al nord negato l’accesso agli aiuti umanitari. “Al nord il conflitto è più atroce perché gli aiuti non riescono ad arrivare – dice Ceccaroni -. Anche a noi è stato negato l’accesso umanitario”.

“Questo significa condannare a morte una intera popolazione”.

Oltre ai check point sparsi ovunque che impediscono il passaggio, per lungo tempo la coalizione sostenuta dall’Arabia Saudita ha chiuso porti e aeroporti, impedendo di fatto l’arrivo degli aiuti, di cibo, medicine e carburanti. Nonostante a dicembre vi sia stata una parziale rimozione del blocco, le importazioni mensili di carburante e generi alimentari non sono sufficienti al fabbisogno della popolazione, mentre l’inflazione è alle stelle. Ma non basta: “Ci sono frequenti attentati rivendicati dall’Isis. Ne sono stata testimone mentre ero ad Aden – racconta l’operatrice di Save the children -. E’ un contesto veramente complicato”.

Danni anche alla città vecchia di Sana’a. Oltre al dramma umanitario della popolazione c’è la tristezza di vedere uno dei Paesi più belli del mondo – famose sono le incredibili architetture dei palazzi di sabbia della capitale Sana’a – devastato dalle bombe. “Nemmeno la città vecchia di Sana’a è stata risparmiata”, ricorda con amarezza Ceccaroni.

“Finché non ci sarà la volontà politica di far entrare aiuti umanitari senza restrizioni e porre fine alle ostilità la gente continuerà a morire di fame, di colera e altre malattie”.

In questa situazione anche solo riuscire a salvare la vita di un bambino diventa una piccola vittoria. “La popolazione yemenita è resiliente – dice -. Come spesso accade in situazione di emergenza o conflitto, le persone scoprono dentro di sé capacità di resistenza che non pensavano di avere. Dicono: ‘Ce la faremo’. E vanno avanti con coraggio e con il sorriso sulle labbra”.

Appello al nuovo Parlamento italiano, “sospenda la vendita di armi”. Intanto, in attesa che vengano indagati e puniti i crimini di guerra commessi da entrambe le parti e che riprenda il negoziato, il 28 marzo alcune organizzazioni umanitarie – Amnesty international Italia, Movimento dei Focolari, Fondazione Finanza Etica, Oxfam Italia, Rete della pace, Rete italiana per il disarmo – hanno lanciato un appello congiunto al nuovo Parlamento italiano perché “sospenda l’invio di armi che alimentano il conflitto in Yemen” e “solleciti una iniziativa di pace a guida Onu”. Il 19 settembre 2017, con 301 voti contrari e 120 a favore, la Camera dei deputati aveva già respinto una mozione che chiedeva al governo di bloccare la vendita di armi a Paesi in guerra o responsabili di violazioni dei diritti umani.

Fonte: Sir
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