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Recensione

Giovanni Pascoli e le antologie scolastiche

Indagato un aspetto particolare dell'opera del poeta di San Mauro

Laura Crippa, «Fiori semplici e nativi»

Pubblichiamo di seguito la recensione di Paolo Turroni del volume di Laura Crippa, «Fiori semplici e nativi». La ricerca comparata e l'arte del tradurre nelle antologie italiane di Giovanni Pascoli, Istituto di studi italiani, Università della Svizzera italiana, collana “Officina”, vol. 7; Olschki editore, Firenze 2022, pagg. 296, euro 35.

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È un aspetto non molto indagato della produzione pascoliana: il poeta di San Mauro è universalmente noto per la sue liriche, un po' meno per i suoi testi di saggistica o per i carmi latini, ma la figura di Pascoli autore di antologie scolastiche non è immediatamente presente nella mente dei più. Eppure Pascoli attendeva a queste opere con grande interesse, per un duplice scopo: didattico (fornire agli studenti italiani raccolte di testi validi, curati, presentati in modo efficace e moderno) ed economico (avere un testo scolastico accolto lungo tutta la Penisola avrebbe fornito una rendita economica apprezzabile).

Merito del recente saggio di Laura Crippa, dottoranda presso l'Istituto di studi italiani della Svizzera italiana, analizzare i due testi maggiori del Pascoli antologista, “Sul limitare” e “Fior da fiore”. Si tratta di due opere che, dopo il successo delle antologie latine (“Lyra romana”, 1895; “Epos”, 1897), ebbero successo presso la scuola italiana, soprattutto la seconda, ripetutamente ristampata. Il successo, però, ebbe un effetto deleterio sulla struttura dell'opera, perché dopo la morte di Pascoli l'antologia venne pesantemente rivista, fino a vere e proprie riscritture: nel 1931, a cura di Benedetto Migliore, e poi nel 1934 a cura di Carlo Saggio.

Nell'Italia fascista, sfruttando la posizione pascoliana in favore della guerra libica (1911, “La grande proletaria s'è mossa”), si fece del sammaurese un precursore del fascismo, forzando molti aspetti della sua poetica, e la sua antologia virò in direzione del nuovo corso politico, accogliendo addirittura testi di Mussolini e su Mussolini, ad indicare come il cammino dell'Italia unita portasse inevitabilmente verso l'uomo di Predappio. A guerra finita, nel 1948, Luigi Pietrobono rimise mano a “Fior da fiore”, togliendo tutti i testi che strizzavano l'occhio al fascismo, ma inserendovi un centinaio di testi nuovi, e quindi modificando ancora una volta il progetto pascoliano.

Laura Crippa in questo interessante saggio, ampio e dettagliato, sottolinea le principali novità dell'opera di Pascoli come antologista: innanzi tutto, in “Sul limitare”, la raccolta dedicata a temi epici ed eroici, introdusse brani dall'“Inferno” di Dante. È nota la passione pascoliana per il Sommo Poeta, ma Crippa sottolinea come sia stata una scelta assai originale quella di introdurre in un'antologia estratti dalla “Commedia”: nessuno aveva mai osato farlo prima.

Allo stesso modo, le scelte antologiche del secondo testo, “Fior da fiore”, dedicato a temi folklorici, mostrano un Pascoli estremamente attento alle letterature straniere, con inserimento, oltre che degli amati francesi e inglesi, anche di testi provenienti da Grecia, Illiria, Finlandia, dall'Estremo Oriente e dall'India. Tutt'altro, quindi, che un poeta chiuso nel suo cantuccio, dedito solo a osservare il suo piccolo mondo, come vorrebbe una certa critica, che ancora trasmette un'immagine del poeta che è stata ormai resa del tutto obsoleta dagli studi.

È vero comunque che tutti i testi pascoliani, quindi anche le antologie scolastiche, sono un ritratto dell'autore. Come scrisse Manara Valgimigli, discepolo di Pascoli, egli «non conosce nel vasto universo altri che se stesso». I testi, quindi, vennero o tradotti direttamente da lui, o adattati, nel caso provenissero da lingue che il sammaurese non conosceva. Ad ogni modo, ogni testo venne “pascolizzato”. Addirittura, propone Crippa, può darsi che l'uso del novenario, un metro piuttosto raro nella poesia italiana, sia stato ispirato a Pascoli dagli autori inglesi che aveva tanto frequentato per la stesura delle antologie. Non va dimenticato, infatti, che Pascoli studiò tanto l'inglese da comporre “Italy”, un poemetto dedicato ai migranti italiani negli Stati uniti, in cui mescola in modo straordinario inglese, italiano, dialetto toscano e anglo-toscano. Crippa sottolinea nel suo saggio, che si giova nell'appendice della interessante trascrizione di un quaderno pascoliano di traduzioni, come il senso profondo di entrambe le antologie sia un ritorno alle origini: un ritorno alla mitica Età dell'oro, presente nell'animo dei fanciulli ma soffocata dalla modernità, rinnovata dall'operazione pascoliana. Un testo per appassionati cultori del mondo di Pascoli, ma anche un interessante “dietro le quinte” che racconta come nacquero due testi tanto importanti per la scuola italiana.

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