Dall'Italia
stampa

il prevalere della rete

L'analisi del professor Pier Cesare Rivoltella: "Bene il digitale, ma un buon vino non si può bere a distanza"

"Un po’ tutti stiamo facendo esperienza di un surplus di fatica digitale. Non richiedendo spostamenti, dal punto di vista della variabile tempo il rischio è che si finisca per saturare ancora di più le agende personali", sostiene il docente dell'università Cattolica

Nella foto il professor Pier Cesare Rivoltella

Per capire quanto si è virtualizzata la nostra vita durante il lockdown può bastare un dato: Zoom, una delle piattaforme di videoconferenza più utilizzate - nonostante le polemiche sulla sicurezza che l’hanno riguardata - nella sola giornata del 23 marzo ha fatto registrare 2,13 milioni di scaricamenti, contro i circa 56mila di media giornalieri a gennaio 2020.

Un’esistenza sempre più digitale che si è scontrata anche con il limite strutturale dei collegamenti internet nella nostra penisola. “È stata una scoperta. Si pensava di essere molto più avanti, invece il divario digitale è ancora una realtà per l’utenza e nella scuola italiana”, conferma Pier Cesare Rivoltella, professore ordinario di Didattica generale e Tecnologie dell’istruzione all’Università Cattolica di Milano e direttore del Cremit (Centro ricerca sull’educazione ai media all'innovazione e alla tecnologia). 

Ma il cellulare non basta

“Le statistiche - prosegue - dicono che ci sono non meno di 6-7 bambini per classe, il 30% degli studenti - sopratutto nella fascia dell’Infanzia e della Primaria - con un problema di connessione”. Il fatto che la maggior parte degli studenti abbia uno smartphone, non significa che siano tutti informatizzati. “Molti dirigenti scolastici si erano illusi che la diffusione dei cellulari significasse in automatico il «byod» (Bring your own device), ovvero l’utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche. E così facendo non si sono posti il problema di acquistare un certo numero di macchine da mettere a disposizione delle famiglie in comodato gratuito”.

È emerso che un cospicuo numero di famiglie non ha né un computer né un tablet e in molti casi nemmeno una connessione internet. “I problemi nascono quando si tratta di far gestire al proprio figlio una didattica evoluta attraverso ambienti che non consentono l’accesso da cellulare - evidenzia il docente -. Il ritardo lo abbiamo misurato sia sul versante delle scuole che delle famiglie. Ci si è buttati nella Rete. Ma come?”.

— Le scuole sono state catapultate in una realtà a cui non erano preparate?

La Scuola italiana aveva fatto esperienze in ambito di e-learning, ma senza mai prevedere una messa a sistema, tranne che per poche realtà innovative. L’emergenza è arrivata come un uragano che ha costretto tutti a fare i conti con una distanza diventata necessaria: siamo arrivati a un bagno generale dentro la tecnologia per tutti. 

Questo si avverte anche in vista della ripresa: qualcuno potrà pensare a modelli innovativi, gli altri stanno solo immaginando di poter rientrare in classe il più in fretta possibile. 

Cosa è esportabile sul web?

—  Dopo questo bagno di vita virtuale - non solo per le scuole, ma anche per tanti lavoratori - come si tornerà alla vita reale?

Il periodo di comunicazione mediata forzata ci potrebbe avere insegnato a dar valore alla presenza, a non inflazionarla. Penso - ad esempio - alle tante, troppe, riunioni che facevamo prima della crisi: ci siamo accorti che un ambiente di videocomunicazione può essere funzionale, con un risparmio di tempo e di denaro negli spostamenti. Personalmente, anche dopo l’emergenza, continuerò a fare i colloqui digitali con gli studenti, anche se non completamente, perché c’è un’ottimizzazione per me e per loro: orari precisi, niente attese...

D’altra parte credo che questa crisi possa insegnarci a distinguere, tornando a dare più valore a quelle situazioni o esperienze che si possono fare soltanto in presenza o che dalla presenza acquistano valore. Paul Virilio - filosofo francese che si è occupato precocemente di tecnologia - già una trentina di anni fa, amava dire che un buon vino non si può bere a distanza. 

Agende sature di impegni

e inchiodati allo schermo

— Usciremo più fortificati o più corrosi dall’eccesso di tecnologia?

Un po’ tutti stiamo facendo esperienza di un surplus di fatica digitale. Non richiedendo spostamenti, dal punto di vista della variabile tempo il rischio è che si finisca per saturare ancora di più le agende personali. Dal punto di vista spaziale, la virtualità dello spostamento ci lascia inchiodati alla nostra scrivania dalla mattina alla sera. Due aspetti che a lungo termine non si possono reggere. Da qui la necessità di trovare dei dispositivi di articolazione delle routine temporali e dei momenti per frammentare la giornata e darsi degli spazi di movimento.

Creative Commons - attribuzione - condividi allo stesso modo
L'analisi del professor Pier Cesare Rivoltella: "Bene il digitale, ma un buon vino non si può bere a distanza"
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti) disabilitato.

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento