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1 gennaio 2024

Don Vincent Nagle alla Marcia della Pace: "La pace è già qui. Il Signore è in mezzo a noi"

Le foto della tradizionale Marcia conclusasi in Cattedrale con la testimonianza del sacerdote della Fraternità di San Carlo Borromeo, figlio di madre ebrea e padre americano, per tanti anni missionario in Terra Santa. L'audio del suo intervento. Le parole del vescovo Douglas

Il corteo della Marcia della Pace di oggi, primo gennaio 2024. Foto Pier Giorgio Marini

Don Vincent Nagle (nella foto di Pier Giorgio Marini, qui sotto) è un sacerdote della Fraternità di San Carlo Borromeo. Per tanti anni è stato missionario in Terra Santa. È figlio di padre americano e di madre ebrea. "Il padre - racconta durante la testimonianza resa in Cattedrale al termine della Marcia della Pace promossa dalla Diocesi di Cesena-Sarsina e guidata dal vescovo Douglas Regattieri - aveva memoria del cristianesimo e in casa la questione della pace è sempre stata molto avvertita, anche quando si parlava del Vietnam. In casa non si parlava mai male degli altri, a parte gli avversari politici".

Durante il tragitto, dalla chiesa di San Domenico fino a piazza Giovanni Paolo II, vengono letti brani tratti dal messaggio di papa Francesco per la LVII Giornata mondiale, dal titolo "Intelligenza artificiale e pace". Il corteo si snoda nel centro storico, con circa 500 persone arrivate da diverse zone della Diocesi. Lungo il tragitto vengono portati alcuni manifesti delle precedenti edizioni, con i titoli delle varie Giornate. Alle letture si alternano alcuni canti.

In Cattedrale il prete americano che ora vive in Italia dice che della pace "c'è qualcosa che non abbiamo capito. La questione ci sfida in maniera profonda ed è al centro del messaggio che vuole portarci Gesù. Pace a voi, dice agli apostoli, la domenica di Pasqua. E lo ripete due volte. Poi aggiunge: come il Padre ha mandato me, io mando voi".

Ecco, prosegue il sacerdote, "forse della pace non abbiamo inteso a fondo le lacrime di Cristo. Lui che piange su di noi. Pure quelli che erano con Lui non avevano capito il suo messaggio, fino all'ultimo. Ancora aspettavano che sconfiggesse i nemici del popolo di Israele, i Romani. Invece Gesù risponde: riceverete lo Spirito Santo". 

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Di tutti i parenti della madre, aggiunge nel suo intervento don Vincent, non è rimasto nessuno. Tutti sono stati sterminati durante le II Guerra mondiale. "La prima volta che ho visto un campo di concentramento nazista mi sono detto: mai più mai più. Poi Gesù mi ha chiamato e questo ha mutato la mia esperienza. Ho vissuto in Marocco e in Arabia Saudita, poi sono andato in Terra Santa. Ho visto che i sionisti volevano il territorio tutto per loro e i palestinesi pure, tutto per loro".

Allora, commenta don Vincent, "ho capito che c'è qualcosa che non abbiamo capito. Non avevo pace né di qua, con i palestinesi, né di là, con gli ebrei. La pace è un'altra cosa. Non è l’assenza di dolore, di minacce. La pace è per la vita. Invece noi continuiamo a insistere col chiedere il potere di eliminare chi ci crea problemi".

Quindi l'esperienza sul campo. "Il patriarca di Gerusalemme mi ha mandato a fare il parroco a Nablus, una città assediata. Entrare e uscire era difficilissimo. Si viveva in un'atmosfera non bella. Avevo abbracciato il fatto che la morte fa parte della vita. La pace viene abbracciando la vita con Lui. Chi vive con Lui, regna con Lui. E allora non manca nulla. Con Cristo e in Cristo".

Arriva l'invito pressante. "Cominciamo ora la pace - dice don Vincent -. Non aspettiamo. Facciamo adesso la pace. Cominciamo ora con la pace. La pace è già qui. Il Signore è in mezzo a noi. Noi siamo i protagonisti di pace, ora. C’è una misericordia eterna per noi, per voi".

I nostri cuori sono come l'interruttore della corrente elettrica: on o off. "Sono terribili i nostri cuori - aggiunge il prete missionario -. Siamo tutti immersi nella paura. L’odio viene fuori quando minacciano i nostri tesori. Invece esiste un’altra possibilità, la fiducia. La paura porta odio. A chi vogliamo affidare i nostri tesori? Venite, lasciamoci abbracciare. Anche la tua morte è compresa nel mio amore, ci dice Gesù".

"Questa comprensione mi è arrivata a caro prezzo - confida don Vincent, che prosegue -. La pace arriva con una presenza. I nostri tesori sono al sicuro solo nel sangue di Cristo".

Poi la richiesta di un permesso. "Se posso - chiede, in conclusione -. Pace a voi".

Pubblichiamo di seguito l'audio della testimonianza di don Vincent Nagle.

***

Di seguito pubblichiamo il testo della riflessione proposta dal vescovo Douglas Regattieri. 

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE FAVORIRA’ LA PACE?

Riflessione per la pace - Cattedrale 1 gennaio 2024

 

Prima ancora che uscisse il messaggio del santo Padre per questa 57° Giornata mondiale della pace sul tema del rapporto Intelligenza artificiale e pace, un articolo di Civiltà Cattolica poneva alcune questioni e offriva qualche riflessione[1]. E un noto teologo francescano, Paolo Benanti, rispondeva ad alcune domande, sull’Osservatore Romano[2]. A questi due articoli farò riferimento.

 

A una lettura attenta del messaggio appare subito che, in riferimento all’intelligenza artificiale, si usa solo due volte la parola ‘opportunità’ e nove volte invece quella di ‘rischio’. Ciò è molto significativo. L’intelligenza artificiale è davvero un’opportunità o contiene molti più rischi per la vita dell’uomo di oggi? La domanda è ricorrente leggendo diversi commenti e riflessioni di economisti, politici, teologi, sociologi, ecc. Possiamo riprendere i passi in cui l’intelligenza artificiale è considerata opportunità  ma anche costituisce un rischio:

 

-      opportunità, perché ci può aiutare ad: “affrontare le sfide dalla rivoluzione digitale … consegnare un mondo più solidale, giusto e pacifico”[3].

 

-      Ma è anche rischio, perché può creare:

 

“Discriminazione, interferenza nei processi elettorali, il prendere piede di una società che sorveglia e controlla le persone, l’esclusione digitale e l’inasprimento di un individualismo sempre più scollegato con la collettività, alimentare conflitti e ostacolare la pace[4].

 

E ancora, può: “distorcere informazioni replicando le ingiustizie e i pregiudizi degli ambienti in cui esse hanno origine”[5].

 

E ancora il rischio“che i criteri alla base di certe scelte diventino meno chiari, che la responsabilità decisionale venga nascosta e che i produttori possano sottrarsi all’obbligo di agire per il bene della comunità”[6].

 

Inoltre c’è il rischio che “Nel contesto ideologico di un paradigma tecnocratico, animato da una prometeica presunzione di autosufficienza, le disuguaglianze potrebbero crescere a dismisura, e la conoscenza e la ricchezza accumularsi nelle mani di pochi, con gravi rischi per le società democratiche e la coesistenza pacifica”[7].

 

Il rischio “di un vantaggio sproporzionato per pochi a scapito dell’impoverimento di molti”[8].

 

Infine, “Non solo l’intelligenza, ma il cuore stesso dell’uomo, correrà il rischio di diventare sempre più “artificiale[9].

 

Come si vede, il Magistero valuta con attenzione le opportunità di una scoperta della tecnica, ma al tempo stesso tiene conto dei rischi nei quali si può correre. Invito a concentrarsi su tre riflessioni:

La necessità che non siano dispersi i valori etici. Il Messaggio lo afferma chiaramente: “Il rispetto fondamentale per la dignità umana postula di rifiutare che l’unicità della persona venga identificata con un insieme di numeri (ndr: vedi omelia della Notte di Natale. Cesare Augusto che indice il censimento guidato solo dalla logica potente dei numeri!). Non si deve permettere agli algoritmi di determinare il modo in cui intendiamo i diritti umani, di mettere da parte i valori della compassione, della misericordia e del perdono o di eliminare la possibilità che un individuo cambi o si lasci alle spalle il passato”[10]. Si pensi solo all’impatto che queste tecniche possono avere sul mondo del lavoro. Sempre il Messaggio: “Mansioni che un tempo erano appannaggio esclusivo della manodopera umana vengono rapidamente assorbite dalle applicazioni industriali dell’intelligenza artificiale”[11]. E così il vantaggio di pochi impoverisce i molti.

 

Se entriamo poi nel mondo dell’educazione chi non vede l’urgenza di una riflessione? L’intelligenza artificiale e le altre forme tecnologiche aiutano davvero a promuovere il pensiero critico? C’è bisogno che i giovani soprattutto siano aiutati ad affinare lo spirito del discernimento nell’uso dei dati, per non affidarsi indiscriminatamente alle ultime scoperte della tecnica, affascinanti e luccicanti. E’ perciò urgente che gli istituti scolastici, a tutti i livelli, si attrezzino per dare ai giovani gli strumenti affinché facciano  propri gli aspetti etici e sociali dello sviluppo e dell’utilizzo della tecnologia[12]. Quanto è importante, in questo senso, l’apporto della scuola; a noi sembra invece che la scuola sia più preoccupata di dare nozioni di carattere tecnologico e non di offrire piuttosto dei criteri di giudizio per una valutazione etica. Ha scritto Vincenza Abriola su Avvenire (23 dicembre 2023, p. 18): “La scuola, a tutti i livelli deve insegnare l’uso consapevole dell’intelligenza artificiale (e, in particolare, di quella generativa, adesso liberamente disponibile). Anziché demonizzarla e proibirla. Deve essere invece sperimentata in classe, sotto il controllo dei docenti, e le parole artificiali devono essere analizzate e studiate. Si deve affermare con chiarezza e semplicità che l’intelligenza artificiale non è una fonte affidabile di  sapere e di conoscenza, ma che è soggetta ad allucinazioni che le fanno anche generare contenuti errati o, a volte, totalmente, inventati. I media devono parlare diffusamente dei rischi, ma anche dei benefici, della diffusione dell’intelligenza artificiale”.

La terza questione la pongo sotto forma di domanda: L’intelligenza artificiale favorisce i ricchi e impoverisce sempre di più i poveri? Ci sono seri e fondati motivi per rispondere positivamente. Lo afferma un esperto teologo francescano. Cito: “In questo momento le grandi innovazioni dell’intelligenza artificiale vengono fatte da nove compagnie globali, che hanno tutta una capitalizzazione superiore al trilione di dollari. (…) Insomma non è un prodotto diffuso, non è una cosa cui tutti possono accedere. Si rischia sempre più una forma di dipendenza da pochissimi monopolisti. (…)  Altro elemento è il  ‘costo nascosto’ di queste tecnologie che vengono fatte sui computer basate su terre rare e altri materiali che hanno un costo ambientale altissimo e consumano tanta corrente. Allora se è bello interrogarci e chiederci con stupore cosa significano i prodigi di queste macchine,   dobbiamo pure non scordarci che hanno tutta una parte molto meno visibile, ma molto più costosa in termini di uguaglianze, di costi ambientali ed energetici, che devono essere presi in considerazione affinché non diventino una spesa che vanno a pagare le nazioni più povere del mondo”[13].

 

È evidente che la Chiesa prende sul serio queste opportunità che le nuove tecnologie  offrono. Perché essa, la Chiesa, - come affermò san Paolo VI all’Onu -  è esperta in umanità[14]. La Chiesa nel corso della sua storia, non ha mai avuto paura di confrontarsi con i progressi dell’uomo: dalla Rerum Novarum in poi…; essa cresce nella conoscenza e nella maturazione sentendo su di sé la missione di dare un giudizio, nell’incontro con questa ricchezza di umanità che viene dal basso. Essa non vuole e non può venire meno al suo mandato ricevuto da Cristo stesso: “Andate in tutto il mondo e insegnate” (Mt 28, 19). Questa grande attenzione al mondo e in modo speciale al progresso tecnologico, avviene in un momento in cui il santo Padre ha voluto “dare grande rilevanza ad alcuni temi globali, come la cura della Casa comune e la fraternità. Cura della casa comune e della fraternità potrebbero essere due delle grandi prospettive, dove la Chiesa porta il suo contributo unico, originale e positivo a questo dibattito. Non serve solo il contributo politico, non serve solo quello industriale. Questo contributo di umanità, di un’umanità che si trova a vivere in un ambiente, in una casa che è il nostro pianeta, e che si trova a vivere da fratelli, è un contributo di ‘umanizzazione’ dell’intelligenza artificiale, cioè di trasformazione del progresso in autentico sviluppo umano”[15], che  - come ha affermato san Paolo VI nell’’enciclica Populorum progressio -  deve essere di “tutti gli uomini e di tutto l’uomo”[16].

 

[1] Cfr F. Patsch, L’“intelligenza artificiale generativa e il nostro futuro” - Un’urgente necessità di regolamentazione in Civ. Catt. 4162, pp-313-325.

[2] P. Benanti, “L’Intelligenza artificiale al servizio del bene comune” in OR, 12 dicembre 2023, p.4.

[3] Messaggio per la 57° Giornata mondiale della pace 2024.

[4] Ibid.: n. 3.

[5] Ibid.: n. 4.

[6] Ivi.

[7] Ivi.

[8] Ibid.: n. 5.

[9] Ibid.: n. 6.

[10] Ibid.: n. 5.

[11] Ivi.

[12] Cfr Ibid.: n. 7.

 

[13] P. Benanti, o.c. p. 4.

[14] Paolo VI, Discorso all’ONU, 4 ottobre 1965; Lett. Enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, n. 13.

[15] P. Benanti, o.c.  p. 4.

[16] Paolo VI, Lett. Enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, n. 14.

Qui di seguito la photogallery della Marcia. Foto di Pier Giorgio Marini

Marcia della pace

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Don Vincent Nagle alla Marcia della Pace: "La pace è già qui. Il Signore è in mezzo a noi"
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