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umanità violata

Neanche gli animali si trattano così. Il caso di Ilaria Salis e le patrie galere

Spazio alle testimonianze di Carmelo Musumeci, ex ergastolano ostativo. Leggete quel che accade nelle nostre carceri italiane. Non ci sono parole adeguate per commentare ciò che da anni Carmelo racconta in ogni occasione 

Foto d'archivio

Se fosse accaduto a un animale si sarebbero sollevate le associazioni che li proteggono. È successo a una nostra connazionale, Ilaria Salis, e in Italia dibattiamo se è lecito o meno trattare così una persona, portandola in catene a mani e piedi e tenuta con un guinzaglio, come tutti abbiamo visto in immagini choc.

C'è chi, in tv e alla radio, fa i distinguo sulla colpevolezza o meno. Come se una persona fosse meno persona una volta condannata. Siamo al sonno della ragione, quello paventato da Goya. E ci siamo immersi fino al collo, se non si alza un moto di indignazione.

Pubblico molto volentieri quanto mi ha inviato poco fa l'amico ed ex ergastolano ostativo Carmelo Musumeci, più volte ospite a Cesena grazie al nostro giornale. Le sue parole e la sua testimonianza in diretta volgono molto più di tante prese di posizione di opinionisti e politici di casa nostra che, a mio modesto avviso, dovrebbero vergognarsi per le frasi riferite in questi giorni.

La dignità di una persona non viene mai meno e sul volto di ogni persona è sempre stampato il volto di Dio. Sempre e su quello di tutti: colpevoli o innocenti, belli o brutti, bianchi o neri, alti o bassi, malati o sani...

E ora lascio spazio alle testimonianze di Musumeci. Un detenuto che ha cambiato vita dopo l'incontro con don Oreste Benzi e la comunità papa Giovanni XXIII da lui fondata. E leggete quel che accade nelle nostre carceri italiane. Non ci sono parole adeguate per commentare ciò che da anni Carmelo racconta in ogni occasione. 

Francesco Zanotti, direttore

Carceri: l’umanità, prima di pretenderla dagli altri Stati, bisogna pretenderla dal nostro Solidarietà e affetto sociale a Ilaria Salis, che è in un carcere di massima sicurezza a Budapest dall'11 febbraio 2023 in condizioni disumane e degradanti. Voglio però cogliere l’occasione per parlare anche dell’inferno delle nostre patrie galere, perché spesso i nostri politici e i mass media sull’argomento sono molto omertosi, a parte rare eccezioni, come è accaduto per le vicende all’interno del carcere Santa Maria Capua Vetere nell’aprile 2020, dove le videoregistrazioni hanno dimostrato senza ombra di dubbio la mattanza sui prigionieri inermi, che non hanno lasciato scampo a interpretazioni e giustificazioni. 

Non scriverò quello che ho subito nei miei 27 anni di carcere, riporterò solo alcuni brani dei miei diari di prigionia, con i quali ho fatto un esposto alcuni anni fa. Dopo le opportune verifiche, non io, ma la Magistratura di sorveglianza ha sentenziato che per ben oltre 10 anni avevo subito atti inumani e degradanti. 

Carcere dell’Asinara 1992/1997 

(…) La chiamavano l’Isola del Diavolo. Era luglio e faceva un caldo torrido. Ci raccolsero sul campo sportivo davanti alla famigerata sezione Fornelli. Alla sera i viaggi degli elicotteri finirono di scaricare carne umana. Eravamo schiacciati come sardine. E avevamo una sete tremenda. Ci diedero solo una bottiglia d’acqua a testa. E ci urlarono: “Se la finite subito, peggio per voi… ve ne aspetta solo una al giorno.” (..) A un tratto le guardie si schierarono a destra e a sinistra lasciando un corridoio nel mezzo che portava dritto dentro il carcere. Avevano scudi in plexiglass e manganelli nelle mani. Quando uscimmo dal cancello fummo subito bersagliati di manganellate. Corsi piegato in due con le braccia alzate per cercare di ripararmi dai colpi di manganello. Cercavo di proteggermi la testa, ma le manganellate arrivarono proprio lì. Le celle erano già aperte. Man mano che le celle si riempivano, le guardie chiudevano il cancello e sbattevano il blindato. (…) L’aria sapeva di chiuso e di muffa. Più che in una cella mi trovavo in un pozzo nero. In una vera e propria tomba. La mia cella era nella parte meno illuminata della prigione. Mancava l’aria e la luce. Dalla finestra della cella si poteva vedere solo una fetta di cielo. Nella finestra c’erano doppie file di sbarre e poi, per completare l’opera, c’era una fitta rete metallica. Il lavandino era vicino al gabinetto. L’acqua veniva giù marrone. Mi avevano detto che non era potabile ma non mi avevano detto che era così sporca. Pensai che forse avrei avuto bisogno di qualche punto in testa ma decisi che non era il caso di chiamare nessuno. Sentivo ancora le urla di dolore degli altri detenuti. (…) Mi svegliai di soprassalto. Mi sentivo osservato. Chiusi e aprii ripetutamente gli occhi. Avvertivo un senso di compagnia indesiderata. Guardai da tutte le parti. Mi sentivo minacciato. Vidi che il blindato e lo spioncino erano chiusi. Guardai la finestra ma non c’era nessuno. Eppure qualcuno mi stava osservando. Poi diedi retta al mio istinto e guardai sulla mia destra vicino al bagno. Lo vidi. Trattenni il fiato. Il mio cuore fece un ruzzolone dallo spavento. Quelle bestiacce mi facevano schifo. Era il più grosso topo che avessi mai visto. Era enorme come un coniglio. In seguito scoprii che topi all’isola dell’Asinara ce ne erano dappertutto. S’infilavano nelle tubature dei gabinetti ed entravano nelle celle. Per cinque anni vissi con loro e quando mi applicarono l’isolamento totale di un anno e sei mesi divenni amico di uno di loro. Le guardie ci torturarono, ci annientarono e ci umiliarono. La doccia era una volta a settimana. Ogni detenuto aveva tre minuti per insaponarsi e sciacquarsi. A volte i tre minuti diventavano due. Una volta i tre minuti diventarono un minuto. Ero ancora insaponato, non mi diedero il tempo di sciacquarmi che mi batterono le chiavi al cancello, per provocarmi. Era il segnale di uscire dalla doccia. Io non uscii. Mi chiusero l’acqua. E mi vennero a prendere. Mi ritrovai per terra bersagliato da una pioggia di manganellate.   

Carcere di Parma 1998/1999 

Direzione dittatoriale. Accadeva di tutto, piccole e grandi violenze. E guardie che brutalizzavano in nome del popolo italiano. L’alimentazione era scarsa e cattiva. Diario: Mi presero di peso. E mi trascinarono nelle celle di punizione. Mi scaraventarono nella cella liscia. Volarono pugni, calci e ingiurie.  Mi ordinarono di denudarmi. E mi perquisirono. Le guardie iniziarono a insultarmi “Figlio di puttana” “Prendi questo e quest’altro”. Poi si stancarono.  E se ne andarono. Mi sdraiai per terra, nella cella liscia non c’era neppure la branda. Mi coprii con una vecchia coperta buttata in un angolo, l’unica cosa che c’era in quella cella. 

Carcere di Novara 1999/2000 

Soprusi e violenze. Sadismi, perquisizioni ad oltranza e umilianti. Spogliati delle nostre piccole cose. Derisi. Pacchi e vestiari mandati indietro, se non persi, oppure saccheggiati, in balia di aguzzini con licenza di fare come gli pareva, se gli pareva, quanto gli pareva. Diario: Le pareti erano grigie. Erano fradice di muffa, dolore e umidità. Puzzavano di ferro, cemento armato, sudore e sangue. Il soffitto era giallo. Il colore della nicotina. Le sbarre della finestra erano le più grosse che avesse mai visto. C’era una branda fissata nel pavimento, un tavolino e uno stipetto al muro.   

Carcere Sulmona 2001/2002 

Avevamo due ore di aria il mattino, due il pomeriggio e poi stavamo tutto il giorno chiusi in cella. La televisione la telecomandava la Direzione del carcere.  E a mezzanotte veniva spenta. La Direttrice non voleva che di notte vedessimo gli spogliarelli nelle televisioni private Durante la conta di mezzanotte e delle quattro del mattino le guardie aprivano il blindato e entravano in cella a svegliarci. In questo modo attuavano una vera e propria tortura del sonno. Diario: Mi presero di peso. Mi strascinarono per il corridoio. Feci tutte le scale che conducevano nelle celle di punizione a ruzzoloni. Mi misi all’angolo del muro. Le guardie si disposero a semicerchio. Ero abituato a prendere le botte. Sapevo per esperienza che fanno male solo i primi colpi. Poi non si sente quasi più nulla. Mi saltarono subito addosso. Mi presero a calci nello stomaco. Provai a dare un morso in una gamba alla guardia più vicina, ma s’incazzarono ancora di più. Non mi rimaneva altro che prenderle e dire parolacce. Non potevo fare altro. Le scarpate nei fianchi mi impedivano di respirare. Presto rimasi a corto di aria nei polmoni. Poi non sentii più nulla.   

Carcere Nuoro 2002/2007 

La Direzione del carcere, a causa di un calendario satirico contro Berlusconi, del vignettista Vauro Senesi, mi aveva ritirato computer, scanner e stampante. Le condizioni igieniche erano terribili, basti pensare che bisognava andare in bagno davanti ai propri compagni. I cortili dei passeggi sembravano delle gabbie voliere. Vivevamo in condizioni illegali di sovraffollamento, ozio forzato, mancanza di igiene e cure.   

Diario: 3/06/04 

Abbiamo diffuso questo tipo di documento all’attenzione della società esterna: I detenuti della prima sezione del carcere di Nuoro segnalano che la struttura di questo istituto è vecchia e decadente (a dir poco obsoleta), all’interno dell’istituto il detenuto è abbandonato a se stesso. La cosa più angosciosa è che il gabinetto è scoperto e si è costretti ad espletare i bisogni corporali sotto la vista dei compagni che occupano la stessa cella, ciò ci toglie quel briciolo di dignità che ci è rimasta… non siamo animali. La nostra sezione ha tre piani e per distribuire il vitto c’è un solo carrello e questo viene trasportato a mano attraverso le rampe delle scale. È facile immaginare i disagi che ne derivano. Nutrirsi con quel minimo che passano è affidato alla sorte, perché è fortunato il piano da cui si comincia la distribuzione del vitto. Per i detenuti che arrivano dal continente e che per ovvie ragioni difficilmente possono usufruire di colloqui, ricevere un pacco postale dai propri cari diventa come una lotteria perché ci viene consegnato a distanza di settimane. E se c’è qualcosa di commestibile si deteriora e va buttata. 9/08/04 Continuano ad arrivare detenuti dalle altre carceri ed ormai la sezione sta scoppiando, da 40 detenuti che eravamo siamo ormai 75… Alcuni detenuti si sono rifiutati di fare entrare i nuovi giunti, motivando il fatto che ci sono i bagni scoperti… Le guardie li hanno messi di forza e stava scoppiando un casino.   

16/09/04 

Questa è stata la prima notte che ho passato nella sezione d’isolamento, cosiddetta, nel gergo carcerario, “porcilaia”, nome molto appropriato. È una sezione composta da dieci celle, le prime celle sono così piccole, 4 passi per due, che il prigioniero, fra il gabinetto alla turca ed il letto, non può passeggiare, quindi deve stare tutto il giorno o fermo in piedi, o seduto o sdraiato. I passeggi della “Porcilaia” sono i più piccoli che io abbia mai visto nella mia lunga esperienza carceraria, appena 2 passi di larghezza per 11 passi di lunghezza, quindi praticamente non è possibile fare alcuna attività ginnica. Ma la cosa più disumana ed animalesca è che il gabinetto non ha nessun riparo, neppure un muretto o una tenda, e dista un passo dalla porta, quest’ultima è priva di spioncino, quindi chi passa nel corridoio può vedere il detenuto mentre fa i suoi bisogni. 

24/01/05 

Sfogo la mia rabbia con questa “Lettera aperta dal carcere di Nuoro”. Da circa due mesi non possiamo mettere piede nel campo sportivo, passiamo l’ora d’aria in una voliera, per evitare eventuale fughe cerebrali, da 6 mesi non possiamo leggere i libri della biblioteca, perché, in attesa di quella nuova, la vecchia è stata chiusa, sono stati chiusi due posti di lavoro, da un anno non usufruiamo di un dentista, mancanza di riscaldamento sufficiente nelle stanze, umidità, cattiva manutenzione, dagli infissi delle finestre entra l’acqua, tre sole docce funzionanti per circa 80 detenuti, con due ore per piano con orari inadeguati, a piano terra due compagni si sono ammalati di polmonite, a due compagni sono stati ritirati stampante e scanner perché uno di questi ha scritto una lettera aperta pubblica al sindaco di Nuoro. Spesso i detenuti rifiutano sistematicamente il cibo ordinario perché c’è un solo carrello che deve fare tre piani (portato a mano da un piano all’altro) e man mano che arriva nelle ultime celle il cibo diventa immangiabile, una specie di pastone per galline, i portavitto non sono forniti di guanti, berretti grembiuli e degli appositi carrelli termici. Lamentiamo la mancanza di spazi comuni dove svolgere qualsiasi attività, passiamo circa 20 ore al giorno su 24 in cella.   

Concludo questa mia testimonianza citando le parole del padre di Ilaria Salis: 

A prescindere dalla colpevolezza di Ilaria: potrebbe essere la più pericolosa serial killer del pianeta, ma non cambia nulla. Nessuno si deve permettere di calpestare in quel modo la dignità di un individuo”. 

Carmelo Musumeci

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