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Emergenza sanitaria

Chiuso il bar ristorante La Rigossa di Sant'Angelo

"Situazione ingestibile. Ci siamo sentiti non tutelati".

Chiuso il bar ristorante La Rigossa di Sant'Angelo

Da venerdì scorso ha chiuso i battenti anche il bar ristorante tabacchi La Rigossa, all’interno dell’area di servizio Gep di Sant’Angelo di Gatteo, in via Galileo Galilei.

Nonostante l’ordinanza di sabato 14 marzo a firma del presidente della Regione Stefano Bonaccini avesse confermato l’autorizzazione a rimanere aperti per gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande posti nelle aree di sevizio e rifornimento carburante situati lungo la rete stradale, autostradale e all’interno delle stazioni ferroviarie, aeroporti o ospedali (garantendo la distanza di un metro e anche senza limitazioni di orario), lo storico gestore dell’attività si è fermato.

Una scelta dolorosa presa in accordo e sotto consiglio della proprietà del ristorante, Celli Giuliano srl del marchio Gep carburanti che opera in Romagna in tre province da Forlì fino a Cattolica.

“La situazione non era più gestibile”. Barbara Musmeci da 18 anni tiene aperto il bar ristorante, attivo h24. Con lei il marito e il fratello, coadiuvati dalla mamma 80enne in piena forma, azdora di quelle di una volta, operativa ed esperta e decisa a rimanere in cucina finchè ce ne fosse stato bisogno. Ad aiutarli altre cinque persone di staff, tutte donne che lavorano con i tre soci da sempre. “Siamo un gruppo talmente affiatato – spiega la signora Musmeci – che questo ci permette di garantire come si deve un servizio giorno e notte, cosa che ci richiede un’organizzazione minuta e attenta in tutti i dettagli”.

Eppure si sono dovuti arrendere all’”ignoranza” - non in senso offensivo ma letterale - di alcune persone che, spiega la titolare, non conoscono o non vogliono conoscere le norme, non rispettavano il divieto di assembramento. Avevamo ridotto di tre quarti i posti a sedere portando i tavoli da 80 a 15, tolto tavoli, sedie o punti di appoggio che potessero in qualche modo favorire l’aggregazione involontaria, adottato guanti, mascherine e tutti gli accorgimenti previsti dalla legge. Questo per continuare a servire i camionisti che con il loro servizio ci garantiscono supermercati pieni e farmacie approvvigionate”.

“Ci siete praticamente solo voi, camionisti per strada… - scriveva Musmeci qualche giorno fa sulla pagina facebook della sua attività - garantendoci l’indispensabile, senza farci mancare nulla. Sono orgogliosa e onorata di potere esservi d’aiuto pur solo con la ristorazione, i servizi igienici e il calore dell’accoglienza di cui ci piace farvi sentire a casa 365 giorni all’anno. Tutta la Rigossa è orgogliosa di voi, grazie per tutto ciò che fate! Vi vogliamo un mondo di bene”.

Però oltre ai camionisti, purtroppo – racconta l’imprenditrice - “si presentavano da noi anche persone che non avevano strettamente bisogno, e non si attenevano alle norme. Alcuni addirittura attraversavano la campagna per prendere il caffè, leggere il giornale e, nonostante la nostra attenzione e i nostri richiami, fare due chiacchiere dando vita ad assembramenti. Una cosa incontrollabile”.

Di lì alle denunce, ai controlli ripetuti delle forze dell’ordine, alle cattiverie via social, continua la signora, il passo è stato breve. “La mia famiglia svolge questo mestiere da sempre. Ci vogliono passione e spirito di sacrificio, una capacità gestionale che abbiamo acquisito da generazioni (venendo da una famiglia di albergatori). La settimana scorsa, con questo momento drammatico che l’Italia sta affrontando, abbiamo cercato di impegnarci a rispettare le nuove regole. Abbiamo lavorato, adattando l’organizzazione di ora in ora in base alle normative che arrivavano, per la nostra salute e quella dei clienti. Se si fermano i camion per due o tre giorni, l’Italia va in ginocchio. Se non arriva l’approvvigionamento, l’Italia si ferma. Eravamo a loro disposizione con asporto, pranzi fuori orario, non certo per guadagnare. E’ stato molto se non ci abbiamo rimesso. Lo abbiamo fatto per spirito di servizio. Ma è stata una settimana da incubo. Ci siamo sentiti soli, attaccati, non tutelati”.

Uno sconforto affiancato dal desiderio di lasciare un messaggio. “Vorrei che il nostro gesto fosse una testimonianza per le nuove generazioni, per essere migliori, capaci di solidarietà”.

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