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Houcine ci spera

Un conto è parlare di immigrati e di immigrazione e di numeri, come sta facendo il governo da parecchie settimane. Tutt'altra faccenda è avere davanti persone che hanno lasciato tutto e adesso sono qui da noi, in Italia, che vedono come il loro Eldorado

Houcine ci spera

Houcine Noumi, un nome e un cognome che ai più dirà poco. Anche a me diceva poco, fino a qualche giorno fa. Fino a quando ho incrociato lo sguardo con questo tunisino di 43 anni. Sì, perché un conto è parlare di immigrati e di immigrazione e di numeri, come sta facendo il governo da parecchie settimane. Tutt'altra faccenda è avere davanti persone che hanno lasciato tutto e adesso sono qui da noi, in Italia, che vedono come il loro Eldorado.

Houcine ha una speranza nel cuore. La esprime grazie al cellulare che traduce il suo arabo nella nostra lingua, a lui ignota. Spera di poter continuare a incontrare, in questo Paese spesso schizofrenico nelle sue espressioni, persone come quelle che me lo hanno presentato per ascoltare la sua storia.

Houcine sta bene ora, in casa da chi lo chiama per nome. Sì, questa per lui è un’altra grande novità. Essere chiamato con il suo nome, quello che gli hanno assegnato alla nascita. Accade anche questo, sull’altra sponda del Mediterraneo: chiamare qualcuno solo per deriderlo per un difetto fisico. A questi fatti potremmo pensare prima di varare nuove norme con le quali si prevedono rimpatri.

«Basta parlare di emergenza - mi diceva chi ha accompagnato Houcine in redazione -. Non se ne può più di sentire quella parola. L’immigrazione può essere considerata un’emergenza? Da quanti anni ne sentiamo discutere?». I numeri sono implacabili e inchiodano l’attuale governo alle sue responsabilità.

L’ha scritto a chiare lettere martedì scorso il sociologo Maurizio Ambrosini sulle pagine di Avvenire. Gli arrivi dall’inizio dell’anno sono 130 mila. Ciò significa che i salvataggi realizzati dalle navi delle Ong non favorivano l’arrivo di immigrati. Tutta propaganda? La storia lo deciderà.

Intanto registriamo il fallimento della missione in Tunisia della premier Meloni del luglio scorso. Tante promesse, un accordo che aveva come obiettivo quello di fare sparire i migranti dai media e nessuna strategia oltre l’emergenza. I risultati li abbiamo davanti agli occhi. E ora, mi diceva sempre l’amico dell'associazione papa Giovanni XXIII che segue da vicino molti immigrati, c’è la fila delle carrette del mare che vengono verso Lampedusa.

È una sorta di ritorsione verso il nostro Paese per le promesse non mantenute? Non ne avremo mai certezza, ma intanto Houcine conserva la sua speranza. E come lui a migliaia. Noi e l’Europa, da questa parte del Mediterraneo, che vogliamo fare? Accogliere, proteggere e integrare o respingere?

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