Editoriale
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Tragedia di Cutro. Il punto della settimana

La legge del mare

Se uno è in pericolo di vita e un altro vede la situazione d’urgenza, cosa si deve fare in questi casi? La domanda è retorica e la risposta è nota pure ai bambini

La legge del mare

Dopo oltre una settimana, si parla ancora del naufragio avvenuto sulla spiaggia di Cutro, in provincia di Crotone. I morti sono saliti a 71, con i dispersi che sarebbero decine. Le immagini rimbalzate dalle televisioni mostrano superstiti sulla riva intenti a scrutare il mare di fronte alla Calabria, nella speranza che possa restituire almeno il corpo di un amico, un familiare o un parente.

Forse questo dolore era evitabile. In argomento sono intervenuti in tanti, in questi giorni di polemiche e di rimpalli di responsabilità. “I viaggi della speranza non si trasformino mai più in viaggi della morte”: questo il forte appello di papa Francesco dopo la recita dell’Angelus di domenica scorsa. In questa frase vorrei cogliere quel mai più che la rende quanto mai convincente.

È ora di dire basta con le dichiarazioni di buone intenzioni e di giustificazioni. Chi può deve intervenire. Inutile cercare scusanti.

C’è una legge del mare, che poi è una legge umana non scritta, impressa nel cuore di ciascuno di noi, che impone il dovere del soccorso. Se uno è in pericolo di vita e un altro vede la situazione d’urgenza, cosa si deve fare in questi casi? La domanda è retorica e la risposta è nota pure ai bambini.

Resoconti sbrigativi hanno associato le parole di Bergoglio a una condanna per gli scafisti. In realtà il Papa ha parlato in maniera più ampia di “trafficanti di esseri umani” che vanno fermati perché “non continuino a disporre della vita di tanti innocenti”. L’accento posto dal Pontefice è su chi fa affari sulla disperazione di tanta povera gente costretta a cercare soluzioni migliori per la vita propria e delle rispettive famiglie.

“Chi non ha casa va accolto”, ha detto il cardinale Matteo Zuppi nell’intervista all’agenzia Sir che pubblichiamo a pagina 4 (edizione cartacea). “Dobbiamo metterci nei panni degli altri – ha aggiunto -. Chi ha perduto tutto e deve scappare, deve trovare accoglienza. Non ci sono alternative.

Quello all’emigrazione era un diritto garantito per tutti gli uomini”, prima di muri e paure che contagiano un po’ tutti.

Il presidente della Cei usa un verbo al passato che fa riflettere. Emigrare era un diritto. Lo sappiamo bene noi italiani e lo sanno anche oggi tanti nostri giovani, spesso tra i più preparati, costretti a trovare all’estero strade adeguate per i loro percorsi.

Noi intanto, in questo Paese, che facciamo? A questa pressante domanda siamo chiamati a dare risposta. Nessuno può nascondersi.

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