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Emergenza sanitaria

Un tempo da attraversare

Riapertura sì, riapertura no. È questo il nuovo tormentone. In assenza di quello per la prossima estate (tra l’altro, chissà come sarà la prossima estate?) il refrain più gettonato, nel ritiro forzato da Coronavirus, riguarda la querelle relativa alla cosiddetta fase 2 che tutti stiamo aspettando

Un tempo da attraversare

Riapertura sì, riapertura no. È questo il nuovo tormentone. In assenza di quello per la prossima estate (tra l’altro, chissà come sarà la prossima estate?) il refrain più gettonato, nel ritiro forzato da Coronavirus, riguarda la querelle relativa alla cosiddetta fase 2 che tutti stiamo aspettando.

L’interrogativo è d’obbligo, vista la situazione nella quale siamo immersi dalla fine del mese di febbraio, pareva di scherzare allora, e poco dopo con il lockdown obbligatorio su tutto il territorio nazionale. Vedere in tv i cinesi con le mascherine e le città deserte ci sembrava un film di fantascienza. Quando poi è capitato a noi la musica è cambiata e in casa ci siamo rimasti e ci siamo ancora.

Da questo strano tipo di arresti domiciliari ciascuno di noi si organizza come meglio può. Il lavoro, specie quello intellettuale, non manca. Anzi, parrebbe aumentato, visti i collegamenti che la Rete consente ai più. Gli impegni si moltiplicano e le occasioni di incontri digitali sono dei tipi più svariati.

L’occhio sul mondo è vigile e quello sulle relazioni online pure.

Cosa manca, dunque? Manca la quotidianità, diciamolo. Manca il contatto umano.

Mancano gli sguardi e gli abbracci. Mancano i dialoghi, i confronti, le discussioni anche.

Manca l’umano senza mediazioni, senza interferenze, senza schermi, senza video e piattaforme che per fortuna oggi ci sono e alleviano il nostro soffrire in silenzio.

Le distanze si sono allungate, dilatate, amplificate, slabbrate. Ci stiamo provando a tenerle insieme. Tentiamo anche di ricucire le ferite che si sono aperte con il rarefarsi delle frequentazioni. Inutile nasconderselo: tenere tutto insieme è impresa titanica. Lo vedo anche per le nostre comunità cristiane, disperse tra canali Youtube e pagine di Facebook, in mezzo a centinaia di proposte e di impulsi che arrivano dalle chat, dalle email, dagli amici degli amici, a volte in una strana concorrenza che non esiste, ma può disorientare.

Come sarà il dopo pandemia nessuno se lo immagina. Cerchiamo di intuirlo, ma lo spavento spesso ci assale. Le scuole saranno a settimane alterne? I cinema a posti scaglionati? E i teatri, gli stadi, i viaggi in treno e in aereo? E sugli autobus chi ci salirà più? Le Messe quando torneranno a porte aperte? Quando ci si potrà di nuovo riconciliare con Dio con il sacramento della confessione?

Le domande sono tutte lì. Si sommano a quelle per i timori economici di una ripresa che sarà in salita dopo il collasso di queste settimane e le paure di un ritorno dei contagi con la riapertura da tanti invocata.

A noi è dato da vivere questo tempo. Non lo possiamo scartare. Lo possiamo solo affrontare e attraversare.

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