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Riflessione

Il forte richiamo alla povertà. Per noi, non per gli altri

Già adesso, nel presente, a partire dall’esperienza personale, siamo costretti a stare di fronte alla limitazione di tutto. La costrizione alla povertà, allora, ci sta facendo riscoprire la virtù che tanto decantiamo?

L’imperversare del virus e le ordinanze restrittive del governo, che ci recludono in casa, dovrebbero far venire in mente una parola che stranamente non si sente pronunciare in questi giorni: povertà. È strano perché di solito siamo degli elogiatori della povertà, soprattutto di quella degli altri: la chiediamo ai politici, ai calciatori, alla Chiesa… difficile però che la consideriamo una virtù per noi stessi. Ma la pandemia ci costringe proprio alla povertà e non solo a quella economica, anche se tutte le previsioni, anche quelle ottimistiche prevedono che, alla fine di questa storia, ci ritroveremo un disastro economico, una vera e propria recessione. Purtroppo la politica e il mercato sembrano mostrare una sostanziale incapacità a porvi rimedio, e gli organismi esecutivi e finanziari europei, che di solito riteniamo onnipotenti, in realtà stanno mostrando proprio in questi giorni di essere divisi e di far rinascere i soliti egoismi, espressi soprattutto da alcune nazioni del nord – Olanda e Germania ad esempio - che rifiutano di condividere (letteralmente) il sacrificio che tutti dovremo affrontare in termini di indebitamento e, appunto, povertà.

Ma già adesso, nel presente, a partire dall’esperienza personale, siamo costretti a stare di fronte alla limitazione di tutto.

La costrizione alla povertà, allora, ci sta facendo riscoprire la virtù che tanto decantiamo? Abbiamo poche relazioni, pochi passatempi, pochi aperitivi.

Disponiamo di poche merci e dobbiamo decidere quali sono essenziali. Mancano medicine e mascherine, pochissimi permessi per uscire di casa. Abbiamo anche poche parole e racconti perché viviamo una straordinaria povertà di relazioni e stiamo forse finalmente capendo che i rapporti via social o messaggini non saranno mai come quelli degli incontri reali con le persone a cui vogliamo bene.

Volenti ma, direi, soprattutto nolenti, facciamo sulla nostra pelle un’esperienza di mancanza, di carenza, di stenti. Una povertà che giunge persino a essere di affetto fisico: niente carezze, niente baci, niente abbracci, niente tocchi, fino allo strazio indescrivibile di dover lasciare i familiari deceduti senza poterli accompagnare.

Sarà ancora una virtù questa povertà? Consideriamo tutto ciò una lezione o solo un male insensato, una sciagura e basta?

San Francesco la chiamava “Madonna Povertà” e diceva di averla scelta come la sposa più bella. Il pontefice attuale ha scelto il suo nome perché quello

alla povertà è il richiamo più assiduo che intende inviarci. Ma adesso che l’abbiamo sposata anche noi, in un matrimonio che magari è solo combinato e non certo d’amore, la consideriamo ancora una virtù? Sceglieremo ancora di indicarla a noi e agli altri?

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