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L’Europa è nata cristiana

Ha prevalso un pragmatismo efficientistico, occorre recuperare ideali e valori nativi.

Dalla storia sappiamo che sia Paolo, “apostolo delle genti”, sia Pietro, “apostolo tra i circoncisi”, terminarono a Roma con il martirio la loro missione terrena.  Ed è da Roma che il cristianesimo si propagherà lungo le tante strade romane fino a raggiungere, dopo le varie sedi del Medio Oriente, il mondo allora conosciuto.

Solo dopo tre secoli “la Chiesa dei martiri”, con l’editto di Costantino (Milano 313), la fede cristiana viene dichiarata “lecita” e, con quello successivo di Teodosio (Tessalonica 380), diventa “religione di stato”. Ma sono soprattutto la fede e lo zelo missionario di apostoli divenuti poi vescovi e di tanti ordini religiosi, in particolare dei benedettini, a radicare nel territorio la “buona novella” del cristianesimo, dopo la predicazione apostolica che ha interessato l’Italia meridionale e la Spagna.

Quando Carlo Magno, nel Natale dell’anno 800, viene incoronato da papa Leone III a Roma imperatore del Sacro Romano Impero la religione cristiana aveva già raggiunto e unificati popoli e nazioni di diversa lingua e provenienza. E cristianizzare ha significato svegliare in ogni uomo e donna la convinzione della dignità della persona umana, di un destino superiore alle faticose e transitorie esperienze umane, creando anche legami tra popoli di diverse origini, lingue e tradizioni, uniti però nella stessa fede e nella medesima Chiesa.

Questa è storia innegabile. Per cui non si comprende come l’illuminista Valery Gircard d’Estaing incaricato nel 2003 di stilare una bozza di Costituzione Europea oltre al contributo della cultura greca e romana non abbia fatto cenno alle “radici cristiane” dell’Europa, nonostante l’insistenza di san Giovanni Paolo II. Purtroppo le divisioni interne nella Chiesa, rivelatesi già nei primi tempi, soprattutto con l’arianesimo (IV secolo), ma poi, con lo scisma d’Oriente per ragioni di primato (ortodossia, 1054) e con la separazione della Germania e del nord Europa per ragioni politico-religiose (protestantesimo, 1517 con Martin Lutero) hanno inferto profonde ferite nella stessa unità europea.

Successivamente l’illuminismo agnostico e la rivoluzione bolscevica e, negli ultimi tempi, il secolarismo, la globalizzazione econonica e il consumismo materialista hanno condizionato e modificato mentalità e atteggiamenti fino a pensare e agire “come se Dio non esistesse”. I nazionalismi esasperati e le pretese egemoniche ci hanno portato nel secolo scorso a due guerre mondiali (19141918 e 1939-1945) con distruzioni immani, da cui è maturato il bisogno di ritrovare la necessaria unità, di ricomporre valori umani superiori, comuni e condivisi.

Da qui il processo di unità europea, iniziato con la Ceca (Comunità del carbone e dell’acciaio, 1951) e proseguito con la Cee (Comunità economica europea, 1957) e la Ue (Unione europea, 1992). Un processo voluto da spiriti forti e uniti, di diversa provenienza: il francese Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer e l’italiano Alcide De Gasperi, tutti ferventi cristiani e colloquianti in lingua germanica.

Dopo un faticoso e di per sè fruttuoso cammino iniziale, sono state perse nel tempo molte spinte ideali e ha prevalso un pragmatismo efficientistico con la preminenza dell’economia e, ancora peggio, della finanza. L’Europa sociale invece ha piuttosto battuto il passo. Ora occorre recuperare ideali e valori nativi e primari.

Nazionalisti e sovranisti vorrebbero che ci si chiudesse nella difesa. Federalisti e progressisti vorrebbero ritrovare l’unità inclusiva. La Chiesa, da parte sua, ha il compito di raggiungere un costruttivo ecumenismo e di dare speranza motivata. Gli egoismi non hanno mai portato lontano. Anzi, hanno sempre mortificato dignità e fratellanza umane. Un sano realismo con forti ideali porta invece verso il rispetto e la coscienza della dignità umana e verso una condivisa prosperità.

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