Psicologia quotidiana
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Claustrofilia

Inaspettatamente, alcune persone vivono la riapertura con disagio e spaesamento, mentre sperimentano nel ritiro sociale una sorta di piacere. La loro condizione viene chiamata claustrofilia, una tendenza morbosa a vivere appartati e in luoghi chiusi

In questo momento di graduale riapertura, iniziamo finalmente ad assaporare la possibilità di un ritorno alla vita sociale.

Inaspettatamente, alcune persone vivono la riapertura con disagio e spaesamento, mentre sperimentano nel ritiro sociale una sorta di piacere. La loro condizione viene chiamata claustrofilia, una tendenza morbosa a vivere appartati e in luoghi chiusi.

Lo psicoanalista Elvio Fachinelli ha ben descritto l’attitudine claustrofilica della mente umana come corrispondente all’attrazione irresistibile nel sentirsi “chiusi” nell’intimità (utero) con la madre. Una sorta di re-infetazione in un luogo senza tempo, che protegge dall’angoscia di morte ma che esclude tragicamente dal dinamismo della vita.

Le persone che nell’infanzia hanno subito traumi o perdite precoci o che, più semplicemente, non hanno avuto un’esperienza sufficientemente buona nella relazione con le figure primarie, spesso si ritirano in fantasie claustrofiliche. Vivono vuoti incolmabili a cui non riescono a dare un nome e percepiscono il mondo esterno come minaccioso.

L’essere umano nasce come intrinsecamente relazionale. Ognuno di noi ha bisogno di interazioni emotive abbastanza buone per svilupparsi e se qualcosa, dentro o fuori di noi, ci allontana troppo dalle interazioni umane (anche quella con noi stessi) ci ammaliamo. Lo stesso utero materno è un luogo vivo di sensazioni e comunicazioni pre-verbali con l’altro, la madre.

La vita ci spinge verso gli altri. Uscendo fuori dall’isolamento, vivendo il tempo della storia e delle relazioni umane, possiamo dare senso alla vita.

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