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Transizione digitale

Il mondo di domani, che si costruisce già da oggi, ha bisogno di un umanesimo digitale. E se la tentazione è quella di concentrarsi sull’aggettivo, è in realtà il sostantivo quello su cui tutto si appoggia, comprese le favolose promesse digitali

In una recente audizione alla Camera dei deputati, il ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, Vittorio Colao, ha descritto come sarà l’Italia fra cinque anni, nel 2026. O per lo meno quali sono gli obiettivi che il governo si prefigge in tal senso.

Il primo è quello di diffondere l’identità digitale, assicurando che venga utilizzata dal 70 per cento degli italiani, più del doppio rispetto a oggi. La stessa percentuale riguarda le persone con competenze digitali, ossia la fetta di popolazione “digitalmente abile”. Presupposto dell’intero piano è che la totalità delle famiglie e delle imprese italiane abbia accesso a reti a banda ultra-larga.

La parte più interessante dell’intervento di Colao è però quella successiva, dove il ministro ricorda che il tassello imprescindibile di qualsiasi trasformazione, compresa quella digitale, non sono tanto le infrastrutture, bensì le persone. Se veramente si vuole cambiare marcia dell’innovazione in Italia - ha affermato - bisogna investire sul valore creativo e innovativo che deriva da competenze individuali e conoscenze collettive: “Scuola, università, formazione e libera sperimentazione sono quello che consentirà di liberare il potenziale delle persone e del Paese da qui al 2030”.

Il mondo di domani, che si costruisce già da oggi, ha bisogno di un umanesimo digitale. E se la tentazione è quella di concentrarsi sull’aggettivo, è in realtà il sostantivo quello su cui tutto si appoggia, comprese le favolose promesse digitali. Non c’è umanesimo digitale se non è autentico umanesimo. Come ricorda in una recente intervista il filosofo Luciano Floridi, non ci devono preoccupare gli sbagli delle macchine, ma quelli delle persone che le programmano e le utilizzano. Le responsabilità sono tutte umane.

“La velocità non è la direzione”, aggiungeva il professore di Oxford. “Se la direzione è giusta, la velocità non è un problema, anzi è una cosa bellissima. La velocità ti mette paura quando non hai una visione di dove stai andando”. Il problema non è l’innovazione digitale, ma l’idea di persona e di società con cui la progettiamo e la governiamo. Non nascondiamoci dietro le macchine e assumiamoci le nostre responsabilità.

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