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Coronavirus. Parla Magalì Prati della Camac industria moda: "Che ci diano il via per mandare avanti l'Italia"

"Vedremo le vere difficoltà tra qualche mese - aggiunge l'imprenditrice -. Il disastro deve ancora arrivare. Adesso è burro. Ci sarà una sorta di guerra per arrivare per primi e la vincerà che ha liquidità, snellezza e sarà in grado di pagare subito. La tempesta deve ancora arrivare. E lo dico non per essere catastrofista, ma per stare con i piedi per terra”

Nella foto, Magalì Prati della Camac industria moda

“Sono in ufficio. La parte amministrativa deve andare avanti. Sì, perché se qua tutti decidiamo che più nessuno paga…” Lo dice al telefono Magalì Prati, amministratore del Gruppo Camac di Cesena, operante in Italia e all’estero nel settore della moda con diversi brand. La Prati è anche membro del consiglio di amministrazione della Fondazione della Cassa di risparmio di Cesena.

“Pagare e incassare – aggiunge – anche se la seconda azione è difficilissima adesso. Noi diamo tempo ai nostri clienti fino ad agosto-settembre, mentre i fornitori vanno pagati, anche se siamo stati tra i settori chiusi da subito, da un momento all’altro. Non è successo come capita in agosto quando le ferie sono programmate da tempo. Produzione e punti vendita, nel giro di poche ore sono stati chiusi, senza potersi organizzare. Ogni operatore di questo settore è rimasto bloccato con quel che aveva a mezzo. È ammessa solo la produzione di mascherine”.

“Adesso siamo in ritardo di un mese e mezzo, ma tenendo presente che la moda lavora un anno avanti, rischiamo di perdere tutto il 2021 – fa presente la Prati -. Non riusciamo a realizzare i campionari. Pare che si possano aprire le attività legati ai prototipi, ma poi tutto il resto? Le fiere di giugno sono saltate. I clienti esteri non vogliono venire in Italia. Per noi è un cambio radicale, visto che abbiamo il 70 per cento della clientela fuori Italia. Dovremo pensare modalità diverse per raggiungere gran parte del nostro mercato”.

“Ora possiamo spedire solo la merce giacente in magazzino - dice ancora l’imprenditrice - e quella per bambini, visto che ai relativi negozi è stata concessa la riapertura. Per effettuare queste operazioni frequentiamo l’azienda in 6-7 persone sulle 65-70 che siamo di solito. Gli altri sono tutti in cassa integrazione che anticipiamo a nostri dipendenti perché hanno bisogno di essere sostenuti dal punto di vista economico”.

Uno sguardo sul prossimo futuro. “Il difficile deve ancora arrivare – aggiunge -. Vedremo le vere difficoltà tra qualche mese. Il disastro deve ancora arrivare. Adesso è burro. Abbiamo disdette o richieste di riduzioni sugli ordini già acquisiti per il prossimo autunno-inverno. Ma noi, per questa attività, abbiamo già fatto molti investimenti, dalle materie prime a diverse lavorazioni già avviate. Le giacenze relative alla primavera-estate invece sono minime. In ogni caso il portafoglio ordini non corrisponderà a quanto incasseremo”.

Prosegue nella sua disamina l’imprenditrice. “A giugno non riusciremo a realizzare i campionari per la primavera-estate del 2021. Avremo tempi brevissimi per lavorarci. Si dovrà tornare a un sistema più sano, con meno frequenza di cambi. Vedremo nelle vetrine di nuovo i cappotti a ottobre e non a luglio. Adesso a maggio dovremo rivedere le nuove collezioni, ma non sappiamo se i laboratori che lavorano per noi potranno produrre. Ci sarà una sorta di guerra per arrivare per primi e la vincerà che ha liquidità, snellezza e sarà in grado di pagare subito. La tempesta deve ancora arrivare. E lo dico non per essere catastrofista, ma per stare con i piedi per terra”.

“Noi, come nostra indole, siamo positivi, in grado di solito ad adeguarci a ogni situazione – dice in conclusione l’amministratore Camac -. Siamo un’azienda flessibile. Siamo pronti anche per la fase 2, per la riapertura. Abbiamo un kit per ogni dipendente. Le distanze saranno più ampie. Abbiamo i gel e tutto quel che occorre. Però devono farci lavorare, altrimenti si distrugge un intero sistema produttivo. Sto facendo da banca a chi collabora con noi, ma per quanto ci riusciremo? Che ci diano il via per mandare avanti l’Italia. Anche perché, l’attuale generazione, che non ha imparato a risparmiare, se perde il lavoro non ha di che mangiare. La dignità della persona oggi dipende tanto dal poter lavorare”.

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