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Coronavirus. Un'infermiera del "Bufalini": "Per fortuna tante persone con la loro vicinanza e la loro solidarietà ci fanno sentire meno soli in questa lotta"

L’esperienza di un operatore sanitario a fianco dei pazienti positivi al Covid-19 e con gravi complicanze polmonari. "Ho scelto di pensare che ce la faremo - racconta - perché ho bisogno di crederci. Se non sto a questa positività il peso che porto mi schiaccerà".

L'ingresso dell'ospedale "Bufalini" con i cartelli fatti dai bambini con scritto "Andrà tutto bene". Foto Pier Giorgio Marini

Operatori sanitari in primissima linea. Sulla non facile situazione che si sta vivendo nel nostro "Bufalini, come in molti ospedali del nostro Paese, abbiamo raccolto l’esperienza di un'infermiera che in questi giorni è impegnata con i pazienti positivi al Covid-19 e con gravi complicanze polmonari.

Signora, come vi siete riorganizzati in questi giorni così convulsi?

L’organizzazione in reparto, così come in azienda, è stata rimodulata in base alla nuova tipologia di paziente da curare e alle necessità assistenziali. Vista l’emergenza, si naviga a vista ogni giorno. È chiaro che in questa situazione i turni possono repentinamente cambiare o che si renda necessario prolungare l’orario di servizio di qualche ora per motivi assistenziali o banalmente per riordinare i farmaci, i dispositivi di protezione e le attrezzature per l’assistenza al paziente.

Cosa c’è da mettere in campo ogni giorno?

Ognuno è chiamato a dare il proprio contributo secondo il proprio ruolo e le proprie competenze. E sicuramente, in queste circostanze, non può mancare il buonsenso e la disponibilità nel fare quello che serve.

E’ vero che scarseggiano i dispositivi di protezione?

Nell’ambiente le polemiche ci sono ogni giorno, dai dispositivi di protezione che, data l’emergenza, a volte scarseggiano, ai turni dei colleghi in malattia da coprire. Polemiche alimentate dai turni faticosi, dalla stanchezza fisica e mentale. Purtroppo spesso, in queste situazioni, si combatte contro il tempo, contro le comorbilità (la presenza concomitante di due o più disturbi nella stessa persona, ndr) del paziente che rendono più difficile e a volte impossibile la ripresa.

Con quale cuore si reca al lavoro in queste condizioni?

Ho scelto di pensare che ce la faremo, perché ho bisogno di crederci. Se non sto a questa positività il peso che porto mi schiaccerà. Allora non sarò più utile nè a me stessa nè al paziente. Ce la faremo. Me lo ripeto quando torno a casa dopo un turno massacrante o una notte passata in piedi al letto del paziente.

Come vede le prossime giornate?

Da un punto di vista strettamente lavorativo sicuramente più caotiche dei giorni passati, perché stiamo aspettando il picco di diffusione del virus. Poi speriamo in una riduzione dei contagi, ma questo dipenderà dalla misura in cui rispetteremo le disposizioni ministeriali. Ci saranno giornate difficili. Ho messo in conto che il mio mantra “ce la faremo” scricchiolerà sotto il peso del quotidiano. Sono grata perché tante persone con donazioni o semplicemente portandoci il pranzo e il caffè ci fanno sentire la loro solidarietà, la loro vicinanza e ci fanno sentire meno soli in questa lotta.

Con quali pensieri si addormenta, se riesce a riposarsi?

Per fortuna ultimamente con lo sguardo dei pazienti che hanno superato la fase peggiore della malattia e stanno piano piano tornando alla vita. Ce la faremo.

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