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L'alimentazione in Romagna fra '800 e '900 a cura dell'Accademia italiana della cucina

“La storia dell’alimentazione – ha detto il docente di storia dell'alimentazione, Francesco Casadei – fino a metà del XX secolo era una storia di fame o, comunque, di ristrettezze"

Nella foto di Cristiano Riciputi, un momento della serata

L’alimentazione in Romagna fra ‘800 e ‘900 è stata protagonista alla conviviale dell’Accademia italiana della cucina, delegazione di Cesena, svoltasi all’agriturismo Ca’ ad Pancòt giovedì 20 ottobre. La serata è stata coordinata dal delegato Claudio Cavani e dal “simposiarca” Francesco Capozzi al quale è toccato l’onere e l’onore di decidere il menù, proponendo una apprezzata sequenza di piatti ispirati alla tavola contadina di una volta. La conviviale si è svolta su due binari: una cena a base di prodotti del territorio e cucinati secondo le vecchie tradizioni e, in seconda battuta, la conversazione con Francesco Casadei, docente di Storia dell’alimentazione presso il corso di laurea in Scienze e cultura della gastronomia al Campus di Cesena in Villa Almerici.

“La storia dell’alimentazione – ha esordito Casadei – fino a metà del XX secolo era una storia di fame o, comunque, di ristrettezze. La tavola del contadino non era molto variegata. I cibi si ripetevano e certi alimenti, come la carne, era cucinata di rado e spesso solo in occasione delle maggiori festività. Si utilizzavano, o riutilizzavano, prodotti che oggi sono stati riscoperti. La piadina, oggi così celebrata, all’epoca era un cibo povero, succedaneo del pane, cotto velocemente su teglie di argilla o metallo sopra alla fiamma viva”. La piadina era l’alimento di base nelle campagne e in collina. In genere nelle città romagnole, specie le più grandi, si consumava il pane.

Casadei ha sottolineato che molte conoscenze sull’alimentazione dei contadini romagnoli lo si deve all’inchiesta Jacini della seconda metà dell’800, e anche da un’indagine molto precisa che fu eseguita (anche se non molto divulgata), durante il fascismo.

E come bevanda? Il Sangiovese era uno dei vini più diffusi, anche se al contadino spettava spesso l’ “acquadezz” cioè allungato con acqua, oppure lo “strenzdur”, cioè quanto fuoriusciva dall’ultima pressata con il torchio, allungato con acqua per stemperarne i tannini astringenti. “Il Sangiovese è impetuoso, ma leale” ha citato Casadei.

Al termine, il delegato Cavani ha consegnato al titolare del ristorante, Christian Montevecchi e alla brigata di cucina, il guidoncino della delegazione e il volume dell’Accademia dedicato alla “Tavola del contadino”. Molto apprezzato dagli accademici il fatto che la cena sia stata servita nella ex stalla della casa colonica di Ca’ ad Pancòt, posta al piano terra e caratterizzata dal soffitto con volte a crociera, dalle colonne e dalle “poste” per i bovini in stabulazione, così come si usava nell’800 e fino al secondo dopoguerra.

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