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Comunicazione: don Maffeis, “convergenza” e “intermediazione” antidoto ad “algoritmi”

Aperto oggi ad Assisi il Convegno #ComunitàConvergenti. Dai social alla comunità umana

Don Ivan Maffeis (Foto Siciliani/Gennari/SIR)

(da Assisi) Contro la “tentazione di navigare in solitaria”, bisogna “lasciarsi interrogare dalla realtà, elaborando proposte puntuali per le necessità del nostro tempo, che giocoforza sono notevoli”. Ne è convinto don Ivan Maffeis, sottosegretario della Cei e direttore dell’Uffizio nazionale per le comunicazioni sociali, che questo pomeriggio ha aperto ad Assisi il Convegno #ComunitàConvergenti. Dalle social network communities alla comunità umana, in corso fino all’11 maggio.

“Ci sentiamo obbligati a non ripetere lo stesso sentiero”, ha detto Maffeis sottolineando l’esigenza, ripetuta a più riprese dal Papa, di “abbandonare il criterio del ‘si è sempre fatto così'” in uno snodo pastorale fondamentale per la Chiesa e la società qual è l’ambito delle comunicazioni. Ciò richiede, ha spiegato il relatore, “una conversione pastorale a cui papa Francesco non si stanca di richiamarci”: “Bisogna esserci”, a partire dal territorio, per combattere “insofferenza e lo sfilacciamento del tessuto comunitario” e “la sensazione di peggioramento diffuso” che domina tra la nostra gente, “non solo a livello economico ma esistenziale”. La deriva da contrastare, in altre parole, è quella di “una comunità difensiva”, in virtù della quale “ci si richiude in cerchie ristrette o nei propri gusci protettivi”.

Oggi, infatti, per Maffeis, siamo di fronte a “comunità che sembrano avere il bisogno di un pericolo, di una minaccia per rafforzarsi”: e in rete questa tendenza è più evidente, come denuncia il Papa nell’ultimo messaggio per la Giornata mondiale per le comunicazioni sociali, in programma il 2 giugno, quando parla della “community” come di “un aggregato di individui caratterizzati da legami deboli”. “Se quella che è una finestra sul mondo diventa uno specchio narcisistico, non è colpa della rete: tutti noi siamo partecipi della cultura digitale”, ha precisato il direttore dell’Ucs facendo notare che “i social media sono diventati il nostro tessuto connettivo: la nostra biografia, i nostri testi, le nostre applicazioni, la colonna sonora della nostra vita, quasi uno storytelling di noi stessi”.

Di qui la necessità di “ripensare il linguaggio” della comunicazione, tenendo conto “del rapporto paritario, e non più semplicemente passivo, con il destinatario”. “Di fronte ad un’opinione pubblica che alimenta il confronto e domanda reciprocità – la tesi di Maffeis – bisogna incrementare la capacità di attivare e di far crescere reti sociali”. Il modello comunicativo auspicato dal direttore del competente Ufficio Cei è quello di “una convergenza, secondo un progetto editoriale integrato a livello nazionale e locale”. A partire dagli avamposti dei settimanali cattolici, “dove passa in filigrana la rete dei nostri territori”. Come dice papa Francesco, “la rete non è alternativa ma complementare all’incontro con carne ossa. Bisogna riappropriarsi, in forma nuova, di un ruolo di intermediazione differente da quello degli algoritmi”.

Fonte: Sir
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