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Coronavirus: saranno i giovani a pagare il prezzo più alto della crisi

L'analisi è tratta dal blog Orizzonti Politici, think tank di giovani studenti e professionisti che si interessano di politica ed economia

Foto archivio Sandra e Urbano - Cesena

Le previsioni parlano chiaro: il periodo post-lockdown sarà caratterizzato da una grave recessione e da un alto tasso di disoccupazione a livello globale. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) nel suo ultimo rapporto ha dichiarato che l’economia mondiale subirà una contrazione pari al 3% per l’intero 2020, mentre l’Italia dovrà affrontare una riduzione del Pil pari al 9,1% confermandosi uno dei Paesi più colpiti. A pagare il conto più salato, se la politica non interverrà immediatamente, saranno ancora una volta i giovani.

Uno dei settori che subirà maggiormente le conseguenze negative è quello del lavoro: secondo le stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) al 27 di maggio 2020 il 94% dei lavoratori nel mondo vive in Paesi in cui sono in vigore misure di chiusura delle attività lavorative. Il fenomeno risulta ancora più critico se si prende in considerazione la situazione dei giovani all’interno del mercato del lavoro: sarà infatti questa categoria di lavoratori a dover sopportare i peggiori effetti socio-economici della pandemia nel breve e nel lungo termine. La disoccupazione giovanile, fenomeno che a livello globale interessava più di 67 milioni di giovani ex ante il lockdown e che nel 2019 si attestava attorno al 13,6%, è in crescita dal febbraio 2020.

Il futuro della “generazione lockdown” rischia di essere compromesso a causa di shock sistemici come i cambiamenti nei settori dell’istruzione e la diminuzione dell’occupazione, che comporteranno una diminuzione del capitale umano in seno ai giovani e la possibile marginalizzazione degli stessi nel mercato del lavoro.

L’università durante la pandemia

Il mondo dell’insegnamento universitario è stato investito da innumerevoli cambiamenti. Il distanziamento sociale e la chiusura di scuole e università ha reso necessario abbandonare la didattica frontale e volgersi – nel più breve tempo possibile – verso l’erogazione dei corsi in modalità remota. Come dimostra un’indagine condotta nel mese di marzo da parte della Conferenza dei rettori delle università italiane, l’88% delle attività didattiche universitarie è stato trasferito online e più della metà degli atenei eroga oltre il 96% dei propri corsi con strumenti di teledidattica.

L’utilizzo della didattica online, una soluzione flessibile e adattabile, potrebbe però non rappresentare una contromisura temporanea: l’Università di Cambridge ha infatti annunciato che tutto l’anno accademico 2020-2021 si terrà online. Questa decisione storica, qualora fosse emulata anche da altri atenei a livello globale, potrebbe concorrere a determinare un cospicuo calo delle immatricolazioni. Come riporta il New York Times, gli studenti sono attualmente restii ad immatricolarsi all’università poiché la situazione di incertezza globale non consente previsioni sulla riapertura degli atenei in autunno. 

A ciò, si unisce la riduzione delle risorse a disposizione delle famiglie appartenenti a contesti socioeconomici più fragili e la relativa considerazione del costo opportunità di un’immatricolazione a fronte di un inserimento nel mondo del lavoro. Secondo le stime dell’Osservatorio Talents Venture, se le previsioni del Fmi si riveleranno corrette, il numero di immatricolati nelle università italiane per l’anno accademico 2020-2021 potrebbe ridursi di circa 35mila unità rispetto all’anno precedente, ovvero dell’11%. Il risultato potrebbe essere un’enorme perdita per gli atenei italiani, pari a circa 46 milioni di euro, dovuta al minor gettito da tasse universitarie. Inoltre, è plausibile pensare che nella scelta di non immatricolarsi confluirà anche la ridotta mobilità internazionale, sia per gli studenti italiani che intendevano recarsi all’estero che per coloro che avrebbero scelto il nostro Paese come meta di studi. Secondo Talents Venture infatti, in Italia è possibile aspettarsi una contrazione della domanda estera di immatricolazione, che nell’a.a. 2018-2019 era pari a 15.600 unità, in aumento dello 0,5% rispetto all’anno precedente.

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https://www.orizzontipolitici.it/generazione-lockdown-perche-a-pagare-la-crisi-saranno-i-giovani/

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