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insegnamenti dall'emergenza sanitaria

Coronavirus. La lezione da imparare: “Cresce la domanda di cura, eppure si tagliano le risorse”

Dal Covid-19 la riorganizzazione dei sistemi sanitari: l’analisi del professor Vendramini della “Cattolica”

Nella foto il professor Emanuele Vendramini

“Strepitosi”. L’aggettivo che il professor Emanuele Vendramini utilizza pensando ai medici alle prese con l’emergenza Covid-19 non è scelto a caso. Docente di management dei sistemi sanitari all’università Cattolica di Piacenza, non può definire diversamente la velocità con cui la rete ospedaliera si è saputa riorganizzare per far fronte alla parabola ascendente di ricoveri per polmonite da Coronavirus.

È vero che questa pandemia lascia in eredità anche una lezione forte: i tagli alle risorse nella sanità sono stati un clamoroso errore, a partire dalla sottovalutazione della rete di cure sul territorio, quelle più vicine al domicilio del paziente. Ci vuole una repentina inversione di rotta, se non vogliamo che si ripeta in futuro quanto abbiamo visto negli ultimi due mesi. 

Le cure primarie

frangiflutti allo tsunami

Che cosa l’emergenza Covid-19 ci sta insegnando rispetto all’organizzazione dei servizi sanitari?

Ci conferma qualcosa che era già nell’aria, cioè che nella risposta al problema dell’invecchiamento della popolazione, alle patologie croniche come diabete e ipertensione e anche alle emergenze come può essere questa pandemia, la sanità territoriale - ovvero medici di famiglia, case della salute e cure primarie - svolge un ruolo fondamentale.

Per quale ragione?

Se immaginiamo quel che è successo come uno tsunami, le cure primarie sono una sorta di frangiflutti, cioè fanno da barriera, altrimenti il rischio è che tutto vada a sbattere contro l’ospedale, pensato per un’altra tipologia di prestazioni, quelle più gravi e acute. Se intaso gli ospedali nel momento dell’emergenza, non riuscirò ovviamente più a gestire al meglio le attese. C’è bisogno di più integrazione tra cure primarie e servizi ospedalieri, dal Pronto Soccorso alla degenza alla terapia intensiva.

Medici di medicina generale frangiflutti sul territorio: ma organizzati come?

Non come iniziative lasciate ai singoli, ma in rete. Pensiamo al modello delle Usca, le unità speciali di continuità assistenziale. Bisogna andare al domicilio, verso il paziente, per prevenire che finisca nelle strutture ospedaliere. Ma bisogna farlo insieme.

Però il grande tema è quello delle risorse. Non dimentichiamo che poco più di un anno fa i medici, specie quelli di medicina generale, hanno lanciato un allarme rimasto inascoltato: in tanti sono andati in pensione e non sono stati sostituiti...

È vero: il servizio sanitario è stato sottofinanziato e di conseguenza ci sono stati tagli del personale. Adesso in tutta Italia si è dovuto ricorrere ad assunzioni, a sanitari provenienti dall’estero o volontari. I tagli sono paradossali se pensiamo al periodo che stiamo vivendo.

Ovvero?

Grazie al cielo si vive più a lungo, ma aumentando la popolazione anziana, cresce il bisogno di assistenza sanitaria. Nel momento in cui abbiamo l’età media che aumenta e contestualmente la domanda di prestazioni sanitarie che aumenta, assistiamo al taglio di risorse per il personale. Se non è una contraddizione questa...

Non ci salviamo da soli

La pandemia ha risollevato la polemica tra sanità pubblica e privata, aprendo un confronto tra Regioni. Lei come valuta questo aspetto?

Ci sono ospedali statali e regionali e ospedali privati, ma non è questo il punto. Il punto è come è organizzato il sistema, se c’è integrazione tra le realtà. Altrimenti si fa lo stesso discorso miope della scuola, dimenticando che una scuola o una università private fanno servizio pubblico. Se ci sono ospedali che funzionano bene, con linee guida puntuali, in collaborazione tra loro, ben venga.

La prima lezione che ci deve insegnare questa emergenza qual è?

Dobbiamo capire che ogni euro dedicato al Servizio sanitario nazionale non è un costo, è un investimento in salute. Altrimenti poi si deve correre a fare le unità intensive, a prendere personale in una logica emergenziale, complicando ulteriormente una situazione già complessa di per sé. E c’è un’altra lezione che vale per l’organizzazione sanitaria ma non solo: non ci si salva da soli. Rispetto le distanze, metto le mascherine o i guanti, tengo certi comportamenti perché, come dice papa Francesco, siamo tutti sulla stessa barca: lo faccio per me, ma lo faccio anche per gli altri. È una riscoperta del ruolo che il singolo cittadino ha all’interno della società e lo trovo - nella tristezza del momento - un messaggio bellissimo.

Siamo tutti dei manager della salute pubblica...

Assolutamente. In un’epoca in cui sembrava dominare l’individualismo viene fuori che solo aiutandoci a vicenda possiamo tutti averne dei benefici.

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