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Amore dietro le sbarre

Il sapore della vittoria, un romanzo sul mondo del carcere

Il romanzo nasce in parte da un'esperienza di vita vissuta. Abbiamo incontrato l'autrice per saperne di più

Il sapore della vittoria, un romanzo sul mondo del carcere

"Venti anni tra dentro e fuori. Emanuele ha gli occhi chiari, non so se azzurri o verdi, il tavolo che ci divide non mi permette di capirlo chiaramente". È questo l'esordio del romanzo “Il sapore della vittoria”, della scrittrice marchigiana, di Recanati, Dafne Perticarini (Carlo Filippini Editore, pagg. 154, euro 13). Un romanzo, che in parte nasce da un'esperienza di vita vissuta, e che viene pubblicato da una casa editrice indipendente di San Marino.

Abbiamo incontrato l'autrice per saperne di più.

Chi è Dafne Perticarini?

Ho fatto esperienza di scrittura con vari giornali, scrivendo di musica e di stili di vita, ma non mi sono mai definita giornalista: sono una scrittrice. Ho iniziato a fare corsi di scrittura per persone fragili, cioè persone che nella loro vita si trovano a fare una vita diversa da come tutti noi la conosciamo, ad esempio chi soffre di malattie mentali, chi ha avuto problemi con droga o carcere. Nel 2020 ho vissuto per un anno a Reggio Emilia per amore, e nel frattempo ho cercato lavoro ed ho svolto questa attività, che prima era di volontariato, come professione.

Come mai dalle Marche è giunta a pubblicare con una casa editrice di San Marino?

In realtà ho viaggiato molto: sono stata a Reggio Emilia per un anno, per seguire il mio compagno Emanuele lungo il suo percorso, poi lui è tornato nelle Marche e ora ci troviamo nell'Ascolano, a Colli del Tronto. La pubblicazione con San Marino è curiosa, ma non straordinaria, considerando la collocazione geografica dei miei precedenti editori. Nel 2015 ho pubblicato “Red in Italy” con Cavinato editore, di Brescia, e nel 2019 “Lou ha detto che non torna”, con Nulla die edizioni, di Piazza Armerina. Questo è il mondo dell'editoria indipendente.

Possiamo sintetizzare il romanzo in una frase?

L'incontro di due persone che si erano perse, cioè ognuna aveva smarrito la sua strada; una volta che si sono conosciute, in un momento di dolore ma anche di cambiamento, hanno ripreso la loro vita, questa volta insieme.

Per quale motivo scrive?

Scrivo per esigenze mie, perciò ho scritto questo romanzo, perché l'esperienza in carcere è stata la più intensa della mia vita. Quando ho iniziato a scrivere non sapevo come sarebbe finita, però sentivo che ci sarebbe stato un lieto fine. All'inizio, sapevo solo che Emanuele avrebbe dovuto scontare altri sei anni di prigione, e invece pochi mesi dopo è arrivata la lieta notizia di un affidamento a misure alternative al carcere a Reggio Emilia, in una comunità di reinserimento. Adesso a Colli del Tronto viviamo assieme, anche se il percorso non è terminato: si tratta di una misura alternativa al carcere.

Il terzo libro è legato ai precedenti?

La frase che sintetizza le mie opere è "si può fare". In questo caso specifico, legata al tema dell'amore. Ne sto iniziando uno nuovo, che sarà dedicato al tema del lavoro.

Quali sono i suoi riferimenti come scrittrice?

I miei punti di riferimento sono il Verismo e il Naturalismo, quindi Émile Zola, Giovanni Verga, Ernest Hemingway (sono rimasta folgorata dal “Vecchio e il mare”). Da lì è partita l'idea di scrivere di cose vere e nello stesso tempo fare della mia vita un'avventura. Successivamente mi è piaciuta l'idea di inserire il caos della vita nella scrittura. Adesso sto cercando di liberare il mio stile, che sta diventando sempre più sintetico.

Il romanzo è dedicato in gran parte al mondo del carcere. Qual è la sua opinione su di esso?

Il carcere non interessa a molti, se non c'è qualcuno a noi caro lì dentro. Ci vorrebbe una Legge Basaglia anche per i carceri, perché oggi secondo me il carcere invece di reintrodurre il detenuto nella vita della società, lo allontana, e nello stesso tempo allontana la società da lui. La Caritas, quando ho iniziato il percorso di volontariato, ci ha trasmesso questi dati: se si usa la punizione e la costrizione, il 60-70% delle persone tornerà a delinquere; se invece usi la rieducazione ed accompagni la persona ad un riavvicinamento alla vita, solo il 40-30% delle persone delinquerà. Sono dati oggettivi.

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