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Don Minzoni, cardinale Zuppi: “Ucciso da violenza fascista e da complicità pavide"

A cent'anni dalla morte il presidente della Cei ha definito il sacerdote di Argenta "una sentinella del mattino che nella notte continua a farci credere nella luce"

Foto: Giampiero Corelli

Faceva politica e in fondo se l’era cercata. Se è così il cristiano se la cerca sempre perché chiamato a un amore incarnato, nella storia, senza limiti”. L’ha detto ieri sera il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nell’omelia della Messa celebrata nel duomo di Argenta, nella diocesi di Ravenna-Cervia, in occasione dei 100 anni dalla morte dell’allora parroco don Giovanni Minzoni, che fu vittima di un “barbaro assassinio”. Il cristiano, ha proseguito il porporato, è “chiamato a un amore, che papa Francesco chiamerebbe politico, libero da ogni ideologia e da quegli ‘ismi’ che intossicano i cuori, a iniziare dal primo, il più banale e pericoloso: l’egoismo”.

Quell’amore letto nel Vangelo di Giovanni “Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici”, da cui ha tratto spunto il cardinale nell’omelia. Per don Minzoni, ha spiegato il cardinale Zuppi, “amore significava impegno di annuncio del Vangelo, legame con la sua comunità, ‘battaglie’ sociali per proteggere le persone, a partire dai più poveri. Egli fu martire dell’amore per la sua comunità, parroco senza riserve che volle una comunità parrocchiale aperta e sbilanciata sulla carità”. Un sacerdote che “prendeva sul serio la parola del Vangelo e l’Eucaristia, la preghiera quotidiana che lo sosteneva e le sfide sociali che lo coinvolgevano, perché è proprio vero che chi prega ‘supera la paura e prende in mano il proprio futuro’”.

Un impegno, quello del prete Minzoni, secondo Zuppi, animato dal suo “amore per il Vangelo e per la sua comunità” che diventò “amore politico, promuovendo l’Unione professionale, la cooperativa agricola cattolica, la cassa rurale. Per don Minzoni mettere in pratica il comandamento dell’amore significò educazione, cioè la creazione di un oratorio per i ragazzi e i giovani disorientati del Dopoguerra. Da questa carità educativa fece sgorgare il suo impegno per la nascita e la crescita dell’Azione cattolica prima e poi dello scoutismo per i ragazzi e i giovanissimi, come anche una attenzione speciale alla formazione delle donne, inventando forme di catechesi per gli adulti e per la famiglia, organizzando la pastorale giovanile, avviando il doposcuola, la biblioteca circolante, il teatro, il cinema”.

Don Minzoni è stato ucciso “dalla violenza fascista - ha proseguito il presidente della Cei - e dalle complicità pavide di chi non la contrastò. Fascismo, che assume colori diversi, sistemi e burocrazie di ogni totalitarismo e diversi apparati, significa il disprezzo dell’altro e del diverso, l’intolleranza, il pregiudizio che annienta il nemico, il razzismo raffinato o rozzo che sia, la violenza fisica che inizia sempre in quella verbale e nell’incapacità a dialogare con chi la pensa diversamente. Minzoni lo affrontò senza compromessi, opportunismi, convenienze. Per questo era e rimane una sentinella del mattino che nella notte continua a farci credere nella luce, a dare la vita perché tanti possano averla”.

La Messa è stata presieduta dal cardinale Zuppi e concelebrata dai vescovi della regione, monsignor Lorenzo Ghizzoni, monsignor Giancarlo Perego, monsignor Livio Corazza e monsignor Andrea Turazzi, in una chiesa stracolma di fedeli e di scout. Numerose le autorità civili e militari presenti.

Foto: Giampiero Corelli

Foto: Giampiero Corelli

“Il dono d’una fedeltà senza riserve alla propria missione don Minzoni l’aveva chiesto come grazia della prima messa”, ha proseguito il cardinale ricordando l’incontro, avvenuto sulla tomba del parroco, di Giovanni Paolo II con i vescovi dell’Emilia Romagna del 23 settembre 1990, descrivendo i preti uccisi prima, durante e anche dopo la Seconda Guerra mondiale. Di due cose era convinto, il sacerdote, ha aggiunto il porporato: “Che accettando di accorciare la vita per amore di Cristo avrebbe pagato sempre meno di quanto Dio aveva pagato per lui; e che accorciare la vita per amore dei suoi – prima i suoi soldati al fronte, i suoi ragazzi e la sua gente poi – era la via più sicura per raggiungere il perfetto amore di Dio, realizzando al massimo il suo sacerdozio”.

Il suo sacerdozio, sottolineò ancora Giovanni Paolo II, ha ricordato il cardinale, “non sopportava separazione tra l’amore di Dio e la cura pastorale dei fedeli”. È morto per amore, perché per amore di Dio e del suo popolo ha affrontato il male, difeso il Vangelo e donato la vita, consapevole dei rischi. Posto di fronte alla stretta finale, rispose: “Sono pronto a morire”. “Questa è la libertà del cristiano e del testimone – ha ribadito il presidente della Cei – cioè del martire, che non è un eroe, ma una persona che ama più delle sue paure e che non teme di entrare in conflitto con le ideologie totalitarie e neopagane, evidenti o nascoste, con chi calpesta la persona, qualsiasi essa sia, ovunque e sempre. Il cristiano distingue il peccato dal peccatore e non combatte il secondo pensando così di contrastare il primo, ma ama il peccatore proprio perché solo amando combatte il peccato”.

“Ricordo tre episodi che decretarono probabilmente la sua condanna a morte e che ci mostrano la sua passione evangelica e sacerdotale”, ha aggiunto il porporato. Innanzitutto, “celebrò i funerali di un assessore socialista ucciso dai fascisti, durante i quali condannò l’omicidio come mostruoso cinismo, viltà e settarismo”. Poi don Minzoni “scrisse una fermissima lettera dopo che i fascisti avevano impedito una processione degli scout verso il santuario della Celletta, nella quale indicò i veri nemici della Chiesa ‘nei paladini dell’ordine, nei moralisti della disciplina che ostentandosi combattono l’opera dei parroci o meglio del Papa’”. Infine, il 9 agosto, pochi giorni prima dell’assassinio, ebbe una discussione pubblica con il gerarca Balbo che aveva minacciato dure sanzioni se non si fosse sciolta l’associazione scoutistica perché questo era l’ordine del duce. Minzoni rispose che prendeva ordini solo dal Papa e che i suoi ragazzi sarebbero rimasti uniti in nome di Dio per il loro e unico vero bene che non era quello di imparare a usare i fucili”.

“Pochi giorni prima della morte disse – ha ricordato il presidente della Cei tratteggiando il profilo del sacerdote martire -: ‘Ci prepariamo alla lotta tenacemente e con un’arma che per noi è sacra e divina, quella dei primi cristiani: preghiera e bontà. Ritirarmi sarebbe rinunciare a una missione troppo sacra. A cuore aperto, con la preghiera che spero mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo. La religione non ammette servilismi, ma il martirio’”. Il cardinale infine ha citato uno scritto di Papa Francesco per la costituzione della “Commissione dei nuovi martiri”. “I martiri […] – si legge nel testo citato da Zuppi – hanno accompagnato in ogni epoca la vita della Chiesa e fioriscono come ‘frutti maturi ed eccellenti della vigna del Signore’ anche oggi”. “Don Giovanni Minzoni – ha concluso il porporato – è parte di questa luminosa schiera di amici di Dio e ci insegna la forza dell’amore cristiano che non teme l’odio del mondo, seme di vita che non finisce, amico di Cristo, mai servo di idoli e ideologie, ma fratello dei più piccoli, attento a costruire quel mondo dove tutti sono fratelli”. Infine un’invocazione, fuori testo: “La sua testimonianza ci aiuti ad amare come lui senza paura anche i nemici”.

Fonte: Sir
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