Dalla Chiesa
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il santo di oggi

San Carlo Borromeo, vescovo

Uomo di grande costanza e personalmente schivo, difese con fermezza i diritti e la libertà della Chiesa

San Carlo Borromeo, vescovo

“Guarda, o Signore, dal cielo e vedi la tua vigna, la santa Chiesa piantata, adornata e fatta crescere dal preziosissimo Sangue del tuo amato Figlio e ad essa sii sempre presente, perché diventi una cosa sola con la Chiesa del Cielo..” (Preghiera di san Carlo Borromeo)

 

Carlo nacque ad Arona (oggi in provincia di Novara) il 2 ottobre del 1538 dalla nobile famiglia Borromeo. Per le consuetudini dell’alta società del tempo, poiché era secondogenito, fu associato fin dalla fanciullezza allo stato clericale. Quando lo zio materno venne eletto papa con il nome di Pio IV, Carlo fu chiamato a Roma come il primo e più stretto collaboratore del pontefice.

All’età di 22 anni ricevette la porpora cardinalizia, con l’incarico di sovrintendere agli affari più importanti della Chiesa. Poco dopo fu nominato amministratore apostolico della diocesi di Milano, senza l’obbligo di residenza. Si impegnò tantissimo e si applicò con coscienza e dedizione nel suo lavoro, soprattutto nell’ultimo periodo del Concilio di Trento e nella sua delicata fase conclusiva. Avvertì allora sempre più vivo il richiamo a una dedizione più generosa al Signore. Gli incontri, le letture, le relazioni con personalità impegnate per la restaurazione della vita cristiana tracciarono il cammino verso una totale dedizione al ministero pastorale. Chiese di ricevere l’ordinazione sacerdotale, che gli fu conferita il 17 luglio del 1563; il 7 dicembre, giorno dell’ordinazione (e festa) di sant’Ambrogio, si fece consacrare vescovo. (Questo succedeva a quei tempi. Potevi essere creato cardinale pur rimanendo laico. L’ultimo ad essere costituito cardinale-laico fu l’avvocato Teodolfo Mertel nel 1858 da papa Pio IX. Nel 1968 Paolo VI prese in seria considerazione di creare cardinale il filosofo Jacques Maritain).

Ritenendosi, in forza dell’ordinazione, arcivescovo di Milano a tutti gli effetti, presentò al papa il 25 gennaio del 1564 la richiesta del pallio (il Pallio è una stola, circolare con pendenti davanti e dietro, tessuta tutta in lana bianca di agnelli, che ricordano il Buon Pastore con la pecorella sulle spalle in più ricamate sei croci nere che richiamano alla passione di Cristo. Il Pallio è il simbolo dei vescovi metropoliti). In obbedienza ai decreti del Concilio di Trento, decise di lasciare Roma e di trasferirsi a Milano per dimorare in mezzo al gregge che gli era stato affidato. Si consacrò totalmente al ministero episcopale, dando a tutti esempio di intensa preghiera, di ammirevole impegno pastorale, di austera penitenza. Con straordinaria energia si adoperò all’opera della Riforma, celebrando diversi concili provinciali e numerosi sinodi, visitando con assiduità la sua vastissima arcidiocesi, istituendo seminari per la formazione del clero, riconducendo le famiglie religiose alla giusta disciplina. Lasciò vari scritti, utili soprattutto ai vescovi per ben governare, e promosse la redazione del Catechismo dei parroci.

Uomo di grande costanza e personalmente schivo, difese con fermezza i diritti e la libertà della Chiesa. Durante la peste organizzò l’assistenza ai malati e curò personalmente l’amministrazione dei sacramenti, giungendo a spogliare delle suppellettili la sua casa per dare sollievo agli indigenti; (questo gesto di pietà cristiana è mostrato bene nell’immagine scelta di presentazione dell’articolo. Un dipinto che potete ammirare a Cesena, entrando nella chiesa dell’Addolorata, già dei Servi di Maria, nel secondo altare a destra partendo dal fondo). Carlo pensava che la peste fosse un castigo divino e quindi organizzò processioni, pubbliche penitenze. La più famosa narrata da un biografo narra che il cardinale si tolse scarpe e calze, si mise un cappuccio sopra la tonaca paonazza, una corda al collo con appesa una pietra e preso in mano il crocifisso, ancora oggi custodito in duomo, percorse, in barba ai divieti spagnoli, in lungo e in largo le vie dei corsi. Giunto alla basilica di sant’Ambrogio, Carlo salì al pulpito e si mise a predicare sul primo lamento di Geremia: “Quomodo sedet sola civica plena populo”, affermando che i peccati del popolo avevano provocato il giusto sdegno divino (Giussano, Vita di san Carlo). La peste cessò lì a giorni, ma terminò più avanti dal 1630-31. Furono calcolate le vittime in Italia: fu una ecatombe, uno stermino, una carneficina. Furono contate in stima di 1.100.000 su una popolazione di 4.000.000 di anime. Mentre si trovava nella solitudine del Sacro Monte di Varallo per trascorrere alcuni giorni in profonda meditazione, solitudine e preghiera, fu assalito dalla febbre. Tornato a Milano il male si aggravò: con gli occhi fissi al crocifisso morì il 3 novembre 1584. Nel 1610 papa Paolo V lo iscrisse nell’albo dei santi.

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