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San Mauro, il vescovo-monaco che divenne patrono di Cesena

Dalla biografia redatta da san Pier Damiani emerge una personalità poco dedita al fasto e all’esercizio del potere temporale e molto concentrata sui compiti della preghiera e della meditazione

Foto archivio Corriere Cesenate. La Cattedrale di Cesena

La storia di san Mauro ci è pervenuta grazie alle notizie che san Pier Damiani riuscì a raccogliere dopo la sua morte, con notevoli sforzi. Di lui sappiamo che fu nipote del 122° papa della storia della Chiesa, Giovanni X (860 – 929). Fu proprio quest’ultimo ad assegnargli la cattedra di Cesena. Come solitamente accade dopo la morte di una persona, in particolar modo se diviene oggetto della devozione popolare, attorno alla sua figura si diffusero diverse informazioni molte delle quali incerte e di faticosa veridicità.

Dalla biografia di Damiani emerge una personalità poco dedita al fasto e all’esercizio del potere temporale e molto concentrata sui compiti della preghiera e della meditazione, anche se questo non gli impedì in alcun modo di impegnarsi nella cura del popolo che gli era stato affidato da Dio. In proposito, il presbitero Carlo Massini nell’opera Vite de’ santi del 1836 racconta che “il molto studio ch’egli poneva in coltivare il suo spirito, non gl’impediva l’attendere e il provvedere a tutti i bisogni spirituali e temporali del popolo alla sua cura commesso, onde pasceva quelle anime col celeste pascolo della divina parola, e si mostrava in tutte le occasioni liberale e caritatevole verso de’ poveri, sapendo, che per questo mezzo più facilmente s’insinuano nell’animo del popolo le verità che si predicano”.

La sua dedizione per l’orazione lo portò a scegliere il colle Spaziano come luogo in cui ritirarsi per prendere respiro dalle questioni materiali, fondandovi un piccolo eremo accompagnato a sua volta da una chiesa dalle dimensioni ristrette. Su questo monte, un tempo cinto da una fitta vegetazione, dove il vescovo venne sepolto in seguito alla morte, sorse più tardi una grande basilica. Il sito ottenne sempre più visibilità e divenne ambìta meta di pellegrinaggio sia per motivi miracolosi, si diffuse infatti la voce che i malati ottenevano la guarigione sul sepolcro del santo presule, che per la devozione riservata alla Vergine Maria. L’altura, un tempo qualificata come “Mons Mauri” esiste ancora oggi e vi è situata l’abbazia di Santa Maria del Monte, dove nel 1986 vi soggiornò anche papa Giovanni Paolo II durante la sua visita nei luoghi della Romagna. La statua della Madonna, che vi è custodita, un tempo (all’incirca 600 anni fa) era collocata nella pieve di Montereale, zona in cui si trovava anche un convento di monaci benedettini di cui si pensa abbia fatto parte lo stesso Mauro.  

A motivo della scelta del colle Spaziano, come area di ascesi, si nasconde anche un accenno simbolico. Umberto Longo, professore di storia medievale alla Sapienza di Roma, sostiene che “dall’alto della nuova condizione il vescovo può abbracciare tutta la sua diocesi”.

Morì il 21 novembre del 946 e la sua salma nei secoli venne traslata più volte. Inizialmente dentro la chiesetta, posta sul Monte, e in seguito nella chiesa di San Giovanni Evangelista dentro le mura cittadine. Infine, fu spostato nuovamente all’interno della nuova cattedrale di San Giovanni dove si trova ancora oggi.

In suo ricordo sorsero nella Romagna due paesi e due pievi, che presero il suo nome: la prima si trova nella località di San Mauro, inglobata nella diocesi di Cesena, e la seconda nella città di San Mauro Pascoli, a metà strada tra Cesena e Rimini.

Purtroppo non è possibile ritrarre più di tanto la vita di questo importante vescovo cesenate, essendo vissuto in un’epoca assai remota ed essendo andati perduti i codici in cui si trovavano dettagli sulla sua esistenza. Lo stesso san Pier Damiani all’inizio della sua ricostruzione della Vita di Mauro accenna ad un incendio aleatorio nel quale sarebbero andati perduti questi manoscritti. E così è certo – come sostenuto da Longo – che per delineare “la condotta e le virtù che caratterizzano il santo nella sua funzione di vescovo Pier Damiani ricorre allora all’incrocio di un insieme di fonti, scritturali, patristiche, monastiche e agiografiche, mediante le quali affronta una serie di problemi e elabora un esempio di condotta vescovile, nella definizione del quale insieme alla tensione riformatrice si innesca anche una palpabile dinamica autobiografica”.

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