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giovedì santo

Triduo pasquale. Le parole del vescovo Douglas nell'omelia pronunciata poco fa: "Come Gesù, chi ama dona, sempre. Non cerca mai per sé".

"Dovremmo imparare di più – anche come Chiesa - questa lezione dl lavarci i piedi gli uni gli altri come veri amici. Lasciamoci amare da Colui che ha dato la vita per noi, per ciascuno di noi", ha detto monsignor Regattieri

La Messa in diretta sulla pagina Facebook del nostro giornale. Nella foto il vescovo Douglas all'inizio della celebrazione. Foto Pier Giorgio Marini

Di seguito pubblichiamo il testo dell'omelia che il nostro vescovo, monsignor Douglas Regattieri, ha pronunciato poco fa durante la Messa in Coena Domini, senza partecipazione di popolo, come l'attuale emergenza sanitaria impone. La celebrazione eucaristica è in onda in diretta dalla Cattedrale di Cesena sulla pagina Facebook del nostro giornale. Col vescovo sull'altare ci sono i diaconi Valder Gimelli e Luciano Veneri e il cerimoniere don Marco Muratori aiutato da don Simone Farina. Con loro concelebrano alcuni sacerdoti, tra cui il parroco della Cattedrale don Giordano Amati e il canonico don Piero Altieri, tutti a debita distanza come richiesto dalle norme in vigore. 

In avvio di Messa monsignor Regattieri ha salutato quanti sono collegati via internet e ha ricordato i sacerdoti che celebrano particolari anniversari di sacerdozio. Don Vincenzo Fantini 25 anni, don Luciano Zanoli e don Agostino Tisselli 50 anni, don Elvezio Motta e don Gilberto Gasperoni con il vescovo Giorgio Biguzzi 60 anni e 70 anni don Crescenzio Moretti. Poi il vescovo ha pregato per tutti i sacerdoti, in particolare per i preti ammalati e per quanti in queste settimane hanno perso la vita a causa del Coronavirus. 

È il tema della notte che ci guida in questa riflessione. E continuerà anche per tutto il sacro Triduo che oggi iniziamo.

1. La notte della liberazione

Il cielo comincia a imbrunire. La notte sta avanzando. Le tenebre iniziano ad avvolgere ogni cosa. È ora. La famiglia ebraica si riunisce attorno alla tavola. È una sera speciale, questa. È la sera in cui si commemora un’altra notte, quella nella quale il nostro popolo – dice il capo famiglia - fu liberato dalla schiavitù egiziana. È la notte di Pasqua. Tutto è pronto. La tavola è imbandita, con l’agnello arrostito, i pani azzimi, le erbe amare, le coppe di vino. Si ripete il rito. Quando i vostri figli vi chiederanno: ‘Che significato ha per voi questo rito?’, voi direte: ‘È il sacrificio della Pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l'Egitto e salvò le nostre case’ " (Es 12, 26-27). Come dice la legge: immolerai la Pasqua, cioè l’agnello, alla sera, al tramonto del sole, nell'ora in cui sei uscito dall'Egitto (Dt 16, 6). Questa è – secondo il Targum - una delle quattro notti care alla spiritualità ebraica: la prima è la notte della creazione; la seconda quella del sacrificio di Isacco; la terza è questa, quella della liberazione dall’Egitto e la quarta quella segnata dall’avvento del Messia.

2. La notte dell'intimità

Anche Gesù, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, coi suoi discepoli predispone la cena pasquale. “I discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: ‘Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?’. Egli rispose: ‘Andate in città da un tale e ditegli: ‘Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli’". I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua (Mt 26, 17-20).

È l’ultima sera di Gesù coi suoi amici. È l’ultima cena; è l’ultima Pasqua. Anche per Gesù è questo il rito che ricorda la liberazione dall’Egitto, ma egli, in questa cena, introduce alcuni elementi nuovi che rendono questa pasqua del tutto speciale. Pur ricordando il passato, questa cena rimanda al futuro. È la notte dello sposo con la sua sposa; di Gesù coi suoi; è una cena che non tornerà più; ecco lo sguardo al futuro: una cena così - dice Gesù -  non la mangerò più se non nel Regno: "Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio" (Lc 22, 15-16). In un clima così intenso come quello che stava vivendo Gesù coi suoi, egli pone due gesti di grande intimità e di profonda amicizia: uno ce lo ricorda il vangelo che abbiamo ascoltato; il secondo ce lo ha raccontato san Paolo nella seconda lettura.

3. La notte dell'amicizia: il servizio 

Lavare i piedi ai suoi amici. È il gesto del servo che egli però fa da amico. Perché – dice Gesù - “voi siete miei amici” (Gv 15, 14). Lava i piedi: Gesù lo sa bene cosa significa. Una donna qualche tempo prima, gli aveva lavato i piedi con le sue lacrime, baciati e cosparsi di olio prezioso (Cfr Lc 7, 38); e anche Maria, una settimana prima, a Betania, gli aveva cosparso i piedi di profumo e anche lei glieli aveva asciugati coi suoi lunghi capelli (Cfr Gv 12,3). Gesù aveva compreso bene il significato di quel gesto: era stato un gesto d’amore. E così fa lui coi suoi amici, per dire loro: vi amo, vi voglio bene. Gesù sta per entrare nella passione e non è in cerca di consolazione, di compassione, di consenso, di affetto; Gesù dà consolazione, dà compassione, dà affetto. Chi ama dona, sempre. Non cerca mai per sé. E Gesù lo fa anche per insegnare: egli non dimentica di essere il Maestro: “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13, 15). Dovremmo imparare di più – anche come Chiesa - questa lezione di lavarci i piedi gli uni gli altri come veri amici!

4. La notte dell'amicizia: il dono di sé 

Ma Gesù coglie di sorpresa ancora col secondo gesto: va al di là della prestazione pur sconvolgente e rivoluzionaria della lavanda dei piedi; egli dà se stesso. Non è nel testo evangelico di stasera, lo ascolteremo domani nel racconto della passione. Ma è stato l’apostolo Paolo nella seconda lettura a ricordarcelo: “Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».  Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me»” (1Cor 11, 23-25). Siamo al momento culminante dell’amicizia: non dare qualcosa di sé, non una prestazione, non solo un servizio, ma donarsi, donare tutto di sé, anche la vita: il mio corpo è per voi; il mio sangue è per voi. E così si realizza quanto un giorno aveva detto: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15, 13).

Entriamo dunque in questa notte così intima: lasciamoci amare da Colui che ha dato la vita per noi, per ciascuno di noi.

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Triduo pasquale. Le parole del vescovo Douglas nell'omelia pronunciata poco fa: "Come Gesù, chi ama dona, sempre. Non cerca mai per sé".
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