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Al chiostro di San Francesco uno spettacolo che irride la fede cattolica?

È davvero satira questa?

(foto archivio)

Caro direttore, vorrei rivolgermi ai cittadini di fede islamica per domandare loro un commento se venissero a conoscenza di uno spettacolo nel quale il loro credo venisse sbeffeggiato allestito all'interno un luogo dedicato ad una figura saliente della loro religione, benché di proprietà statale, al chiostro di San Francesco, a Cesena. La stessa domanda vorrei porla anche ai cittadini di fede ebraica. Immagino una prima risposta: le autorità dello Stato dovrebbero gestire queste situazioni con buon senso e accortezza, per ragioni non solo di eleganza, ma anche di ordine pubblico.Queste domande mi sono sorte quando ho letto notizie dello spettacolo "L'ora di religione" di Eleazaro Rossi, artista apprezzato dai "benpensanti" per il suo stile irriverente, le sue battute salaci sull'aborto, la sua volontà di demistificare con grasse risate le fondamenta della religione cristiana, le sue affermazioni fuorvianti e alla moda pro propaganda Lgbtq nell'ambito della trasmissione "Le Iene" di Italia Uno.Certo, il diritto di satira va tutelato. E si potrebbero aggiungere altre ovvietà. Le mie perplessità, tuttavia, nascono ugualmente e non sono sopite da questi slogan. Nascono in primo luogo per il contesto nel quale Eleazaro Rossi tiene la sua performance nella città romagnola che diede i natali a Pio VI e a Pio VII (i papi perseguitati in nome del trinomio rivoluzionario "Liberté, Égalité, Fraternité" sia detto per inciso), questo 20 giugno:  il chiostro di San Francesco, di pertinenza della Biblioteca Malatestiana. Un luogo non più religioso in senso stretto, perché non più di proprietà di un ente ecclesiastico, ma che è ancora dedicato ad una personalità cara a tanti cristiani:  organizzare e promuovere uno spettacolo per farsi beffe del Cattolicesimo in una suggestiva e prestigiosa area dedicata al Poverello d'Assisi appare qualcosa di più di una sgrammaticatura. Il cattolicesimo perde terreno anche perché destabilizzato - ad arte, è il caso di dire - nelle sue fondamenta. Come? Attraverso la distruzione dei suoi simboli per mezzo di segmenti del cinema, del teatro e della musica, che hanno diffuso nella società messaggi ad esso ostili nel ventre molle del popolo. Gramsci insegna l'importanza di usare la cultura  per proporre e diffondere ad un pubblico vasto modelli politici e mentalità con strumenti più pervasivi ed efficaci rispetto al linguaggio e ai contenuti del dibattito parlamentare o del giornalismo d'opinione: questi ultimi  idonei a raggiungere un numero più limitato di persone e pertanto insufficienti  al disegno di modellare una società.Forse è il caso di riflettere su tutto questo, anche nel contesto cattolico.Simone Ortolani, Ravenna

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