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Il caso di Bibbiano e i dubbi di una lettrice

Le preoccupazioni di chi ha lavorato per una vita come Assistente sociale.

Minori in comunità - Foto SIR

Caro direttore,
davvero di fronte ai fatti accaduti a Bibbiano che mi hanno letteralmente sconvolto e offeso non riesco a tacere e non pormi delle domande inquietanti.

Si, sono offesa profondamente come persona e come professionista del sociale. Ho svolto, per tantissimi anni fino al pensionamento, la professione di Assistente Sociale nel settore Famiglia, Infanzia, Età Evolutiva. Ho lavorato in equipe con psicologi, neuropsichiatri infantili, psichiatri e con tutti coloro che a vario titolo si occupavano di minori. Negli ultimi dieci anni mi sono state assegnate funzioni di coordinamento all’interno dei servizi sociosanitari dell’Asl di Cesena. Ho lavorato con passione e, grazie ai miei tanti colleghi dei quali conservo una profonda stima, con competenza mai disgiunta da una umanità integra e impegnata nell’aiuto di chi viveva una condizione di disagio socio-famigliare-culturale.

Le famiglie in difficoltà esistono davvero, non c’è bisogno di crearle ad arte. La storia di marginalità vissute per generazioni, la solitudine socio-culturale, l’assenza di figure di riferimento significative, i fatti luttuosi, separazioni molto conflittuali, spesso hanno reso alcuni genitori incapaci di assumersi responsabilità in modo adeguato nei confronti dei figli che a loro volta sono stati vittime di tanti tipi di abuso, di incuria e negligenza grave quando non vero e proprio maltrattamento.

Devo dire che la consapevolezza maturata nel tempo e nell’esperienza che la storia si ripete se non interviene un’adeguata elaborazione di quanto vissuto dai genitori, questi diventano comunque un modello per i loro figli.

È stato sorprendente accorgersi, il più delle volte, che l’aiuto dato alle famiglie in un percorso di sostegno e recupero della propria identità e responsabilità dentro relazioni ricche, competenti, multiprofessionali adeguatamente coordinate, hanno conseguito nella maggioranza dei casi recuperi insospettati.

Certo, mentre i genitori facevano questo percorso alla luce del sole, i figli, nei modi più rispondenti alle diverse realtà di bisogno, venivano adeguatamente sostenuti e protetti: aiuto domiciliare, affido diurno, affido temporaneo, casa- famiglia, ecc.

In tutto questo il rapporto di collaborazione con il Giudice Tutelare, il Tribunale dei Minorenni, il Tribunale Ordinario, nel caso di separazioni molto conflittuali, è stato una risorsa e una possibilità per intervenire, progettare, controllare, relazionare.

Devo dire che per tutti noi operatori è stato un lavoro appassionante del quale continuamente dovevamo rendere conto alle autorità interne ed esterne, perché sempre e comunque il nostro operare doveva essere esclusivamente nell’interesse del minore e della sua famiglia, alveo naturale per la sua crescita.

Si pensi che in certe fasi del nostro lavoro seguivamo sessanta affidi familiari nell’ambito dell’azienda Asl e contemporaneamente altrettante famiglie di origine venivano aiutate, perché l’obiettivo da perseguire era il rientro dei bambini nella loro famiglia di origine.

Ogni qualvolta si è reso indispensabile l’allontanamento di minori dalla famiglia, anche i genitori “più incapaci” e “più irresponsabili” avevano reazioni pesantissime perché si toccava un loro bene prezioso: il figlio.

Per questo non c’era alcuna risposta precostituita, ma solo quella più rispondente alla situazione.

Lavorare con questo tipo di impegno, creatività, sensibilità con una metodologia di lavoro in equipe multiprofessionali dove ciascuno si implicava nella relazione di aiuto con diversi livelli di responsabilità e cura, si sono ottenuti quasi sempre risultati importanti di cambiamento.

È vero per ciascuno di noi che sono le relazioni importanti e significative, dentro e fuori la famiglia, che ci cambiano e ci fanno scoprire chi siamo, la nostra ricchezza personale.

È stato un lavoro appassionante e impegnativo sul piano umano e professionale, per questo mi sento profondamente offesa dai fatti di Bibbiano, anche per tutti i miei colleghi: i fatti emersi hanno sicuramente reso più difficile il lavoro di quanti sono impegnati seriamente in relazioni di aiuto.

Continuo a chiedermi: ma come è stato possibile tutto questo? Come e perché si è riusciti a eludere tanti passaggi e controlli interni ed esterni? Solo per i soldi? Come è stato possibile nei confronti dei genitori, delle famiglie, operare un tale sopruso?

Qualcuno oggi non crede al diavolo, ma, per me Bibbiano ha i connotati del diabolico e forse ancora una volta è l’espressione di una cultura che non riconosce il valore fondante della famiglia fatta di un padre e di una madre che si prendono cura affettivamente e accompagnano la crescita dei loro figli fino “a lanciarli” nella vita con la coscienza di essere un bene per sé e per la società

Ebe Domenichini – Cesena

Grazie mille,
cara Ebe, per questa tua lunga lettera con la quale manifesti un disagio diffuso tra la gente. Disagio al quale si associa anche lo sconcerto per quanto si legge e si ascolta circa le vicende legate agli affidi di Bibbiano.

Non mi arrischio ad aggiungere altro. Spero solo che la giustizia faccia il suo corso e che possano emergere le reali responsabilità, se i fatti verranno confermati per come appaiono oggi.

A presto.

Francesco Zanotti
zanotti@corrierecesenate.it

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