Editoriale
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«Pace a voi»

Messaggio pasquale del vescovo di Cesena-Sarsina

«Pace a voi»

Il mandorlo è fiorito, anche quest’anno, prima degli altri alberi. Lunghi e ordinati filari di peschi, ormai in fiore, colorano le nostre colline. Il cielo terso e un tiepido sole annunciano, anche ai più distratti, che la primavera è arrivata.

L’inverno se ne è andato, anche se quest’anno non ne abbiamo sentito i normali rigori; ma il calendario, puntuale, lo proclama: 21 marzo, primo giorno di primavera.

E con la primavera, la Pasqua, la festa cristiana più importante di tutto l’anno liturgico. Si aprono le finestre rimaste chiuse durante i lunghi giorni invernali. Si fanno le pulizie generali della casa: è Pasqua. Ci si incontra nella piazza e si indugia volentieri – impegni lavorativi permettendo - a chiacchierare con gli amici; ci si saluta così: Buona Pasqua.

Ma non è che anche questa formula è diventata talmente abituale dall’aver perso il suo vero significato? Come è avvenuto anche qualche mese fa, quando ci si lasciava – dopo il caffè al bar o uscendo dal supermercato - con quella espressione: Auguri. Buon Natale. Buon anno? Oramai i biglietti augurali inviati per posta sono diventati una rarità. Anche in ragione del cammino da tartaruga delle Poste italiane. Solo qualche nostalgico ancora se ne serve… Adesso si manda un sms, si scrive una mail, si usa whatsapp. È più veloce, meno costoso. E l’augurio si arricchisce di un’immagine, di una fotografia, di un testo d’autore particolarmente adatto al momento. Ma la sostanza resta: trasmettere un augurio.

Ma cosa significa in realtà augurare buona Pasqua?

Vorrei rispondere: quest’anno in modo particolare l’augurio ha il sapore della parola Pace. Siamo in guerra, dentro alla “terza guerra mondiale a pezzi”, in Ucraina, in Terra santa, in Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo, in Myanmar, nel Libano e in tante altre parti del mondo.

E nonostante questo noi continuiamo ad augurare: Buona Pasqua.

Perché il primo a farlo è stato Lui, il Risorto: «Pace a voi» ha augurato ai discepoli riuniti nel cenacolo, dopo la sua risurrezione. Poi è la Chiesa a ripeterlo ogni anno, in quel meraviglioso inno pasquale che è l’Exultet che risuona nella grande Veglia pasquale.

Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti.

Dissipa l'odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace.

Questo cero, offerto in onore del tuo nome per illuminare l'oscurità di questa notte, risplenda di luce che mai si spegne.

Augurare buona Pasqua significa «sapere con certezza che chi si offre e si dona a Dio per amore, sicuramente sarà fecondo. Tale fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata. Uno è ben consapevole che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, non va perduta nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa

pazienza. A volte ci sembra di non aver ottenuto con i nostri sforzi alcun risultato, ma la missione sfugge ad ogni misura. Noi ci spendiamo con dedizione ma senza pretendere di vedere risultati appariscenti. Sappiamo soltanto che il dono di noi stessi è necessario. Impariamo a riposare nella tenerezza delle braccia del Padre in mezzo alla nostra dedizione creativa e generosa» ( Evangelii gaudium, 279).

Buona Pasqua a tutti.

*vescovo di Cesena-Sarsina

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